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venerdì 3 febbraio 2012

Viaggio nel Romanico pugliese


Viaggio nel Romanico pugliese






Bari, Basilica di San Nicola
 

Questo fine settimana io e la mia dolce metò Marisa lo abbiamo dedicato ad un
viaggio nel romanico pugliese programmato da tempo. Prenotazione via Internet
(insolita per me) di due pernottamenti all’albergo Mercure – Villa Romanazzi-
Carducci di Bari e partenza alla mattina del 24 maggio 2009.
Tra i motivi del viaggio in Puglia la visita a parenti ed amici (sono di origine pugliese)
ed un intenso programma di visite al romanico pugliese. Indefinito, perché sono tante
le chiese con annessi borghi medioevali da vedere, che ci eravamo dati solo dei punti
fermi, mentre il resto lo abbiamo lasciato al tempo che ci sarebbe rimasto.
E’ andato tutto nel migliore dei modi, nel tempo a disposizione, anche grazie alla

totale disponibilità di mia nipote Amalia ed a quella dell’avvocato Giacomo, suo prozio
e nostro caro amico da vari decenni, che aveva promesso tempo fa di farmi da
cicerone qualora mi fossi recato in quei luoghi. E così è stato. Grazie Amalia, grazie
Giacomo.
Non secondaria motivazione del viaggio (ce n’è una terza che dirò dopo), anzi, prima
tra tutte, la visita ad una mia anziana cugina, Antonina, la quale ha grossi problemi di
salute che si possono riassumere con la parola depressione che la porta ad avvertire:
i sintomi più terribili ed a sottoporsi alle indagini mediche più invasive, tutti di
natura psicosomatica. Ci ha visti nascere e ci ha tirati su con rigore, venendo a
ripescarci nel paese quando rincasavamo tardi. Nostra madre era incline al perdono,
molto tollerante. Antonina e, peggio, nostro padre, no. E, prima che subissimo gli
scappellotti di nostro padre, ci riportava lei sulla retta via. Va da sé che anch’essa
era una ragazzina, anche se per le sue vicissitudini familiari aveva dovuto crescere in
fretta. Aveva ed ha una predilezione per mio fratello più grande, poi per la femmina
più piccola. Io sto in mezzo, e subivo l’eterno destino riservato al secondo. Secondo
in tutto: per intelligenza, spigliatezza, bellezza, attenzioni, coccole, un po’ meno per
applicazione agli studi. Insomma Antonina è una sorella maggiore con i suoi pregi ed i
suoi difetti.
Essendo partiti sul tardi e dovendo visitare prevalentemente chiese, abbiamo
pensato di tirar dritto verso l’albergo prenotato, per non trovare le chiese chiuse,
non prima di aver consumato una veloce colazione lungo il percorso (noi pasteggiamo
solamente a cena). Siamo arrivati alle 14 circa, in tempo per occupare la stanza,
enorme, nella struttura modernissima del complesso che occupa una parte del
giardino dell’antica villa nobiliare, oggi adibita prevalentemente a cerimonie e
convegni.
Poi, di corsa a Molfetta per visitare il Duomo di San Corrado, una delle perle del
romanico pugliese. La chiesa, costruita sul mare, oggi è in terraferma per via delle
banchine e degli spiazzi costruiti in epoche successive e domina il porticciolo dei
pescatori, creando dei magnifici effetti scenografici di cui i siti Internet sono pieni.
L’aspetto di fortilizio si giustifica per le esigenze difensive dai saraceni, che
tuttavia hanno occupato le città pugliesi per circa un secolo. Inoltre, le due altissime
torri absidali avevano l’una funzione campanaria, l’altra di avvistamento e di
riferimento per le imbarcazioni dei pescatori.
Premetto a tutte le descrizioni delle chiese che farò, che sul Web ci sono splendidi
lavori in merito e montagne di foto. Perciò, poiché mi ritengo solo un appassionato di
architettura romanica e non un esperto, riporterò mie osservazioni ed ipotesi sulle
strutture delle chiese visitate, senza pretesa di verità documentale. Per chi volesse
avere notizie più documentate segnalo, oltre alle singole voci di Wikipedia e di
Landscape, lo splendido lavoro di Stefania Mola

www.mondi
medievali.net/edifici/Puglia.htm - 31k



Duomo di San Corrado a Molfetta (1150-1200)



Molfetta, San Corrado, facciata



Come già detto, all’origine era sul mare e l’ingresso era solo sul lato sud. La sua particolarità è costituita dallacopertura della navata centrale, formata da tre cupole diseguali in chiancarelle allineate. La cupola della crociera è a base quadrata, le altre due a base esagonale, quella di centro è la più alta.


Molfetta, San Corrado, lato sud e torri
Questo tipo di copertura ricorda l’edilizia bizantina, più che la tradizione paleocristiana e romanica italiane che prediligono la copertura lignea in ogni parte d’Italia, e la ritroveremo anche a Giovinazzo e Canosa. La stessa edilizia normanna, che in quei tempi si affermava, con la discesa di condottieri provenienti dalla Normandia, prevede la copertura lignea delle navate e dei transetti, riservando solamente alla crociera una copertura con torre in muratura.


Molfetta, San Corrado, finestra con animali ai lati

Le torri, uguali, a tre piani sono alte 39 metri. L’ingresso lato sud, spoglio, è sormontato da una finestra
rinascimentale, oggi murata e di bella fattura, da due edicole, probabilmente anch’esse rinascimentali, e da simboli ecclesiastici.


Molfetta, San Corrado, lato nord, archi intrecciati


Sul lato nord, archi ciechi intrecciati, di chiara derivazione araba, decorano la parete. Inoltre, una bella finestra contornata da colonnine rette da leoni e cornicioni con temi vegetali, arricchiscono le pareti.


Molfetta, San Corrado interno a cupole
L’interno, come detto, è con copertura a cupole diseguali, rette da pilastri con quattro semicolonne ai quattro lati e sono sormontate da capitelli con temi vegetali, con arabeschi e figure umane, comprese immagini di baffuti arabi. Le navate laterali sono a semibotte pura. Non si sa bene come vengono compensate le spinte laterali. Oggi sui lati nord e sud della navata ci sono corpi aggiunti di cui non si conosce l’epoca di costruzione, ad ogni modo le cupole stanno là da mille anni, evidentemente ben sostenute.
Uno strano gioco di luci, che si ripete ciclicamente, e che si è verificato proprio mentre eravamo in chiesa, proietta l’ombra di una bella statua del Cristo crocifisso, posta contro la finestra dell’abside, più in alto, sulla parete dell’abside. L’ombra del Cristo appare dentro uno spot di luce solare. Così la sistemazione di quella statua in fondo alla chiesa, che doveva essere provvisoria, è diventata definitiva ed è valsa, al sacerdote che l’ha sistemata, il processo di beatificazione.



Molfetta, San Corrado, riflessione immagine di Cristo


La visita a questa, come alle altre cattedrali della Puglia, ha un carattere di unicità
anche per via del contrasto tra il bianco accecante delle facciate, tutte restaurate
di recente, e l’azzurro intenso del cielo di Puglia.
Abbiamo visitato il borgo medioevale, nei paraggi, la bella piazza ed il porticciolo dei
pescatori che è riportato più volte su Internet in splendide immagini riprese nelle
varie ore del giorno. Il borgo, fatiscente un tempo, era stato abbandonato in seguito
ad un crollo. Recentemente è stato in parte recuperato ed è tornato a vivere, con i
bassi brulicanti di vita compresi ristorantini e bar, come è accaduto in tutti i borghi
antichi d’Italia. Quello che caratterizza non solo il borgo antico di Molfetta, ma tutti
quelli pugliesi, è la pietra bianca delle Murge di cui sono fatte le facciate e la
pavimentazione stradale, tenuta, questa, in uno stato di pulizia ed ordine che la
rendono brillante.
Ritorno a Bari, per la vecchia statale 16. Andiamo a casa di Antonina che preleviamo
con il figlio Tonio ed andiamo a cena al ristorante dell’albergo. Cena a base di
specialità pugliesi: orecchiette con pomodoro e caciotta, tonno al forno con patatine
tagliate finissime, croccantissime, sedano e carota. Roba da alta cucina. Serata
piacevolissima tra parenti vissuti e cresciuti nella stessa casa e che il destino ha
separato solo cinquant’anni fa (nel frattempo ci si era visti ogni tanto, di solito in
circostanze poco piacevoli). Gli argomenti della serata: ricordi infantili e giovanili,
aneddoti e descrizioni di acciacchi dovuti all’età. Quanto tempo è passato! Per me
che sono nato da quelle parti e che 52 anni orsono ho lasciato questi parenti e questo
mondo da emigrante volontario ed entusiasta di uscire dalla logica del piccolo mondo
di paese, per compiere gli studi universitari a Napoli, era stato come recidere il
cordone ombelicale con le proprie origini. Però, basta un breve ritorno e tutto ciò
che hai fatto, realizzato fuori dalla tua terra, vien messo tra parentesi. Chi non ha
vissuto il problema dell’emigrazione non può capire il dramma dello sradicamento
dalla propria terra e dai propri cari. Poi torni nella terra che oggi ti ospita e ti senti
di nuovo a tuo agio, a Napoli come ad Amsterdam. Una volta usciti dal proprio guscio
si diventa potenzialmente apolidi: ogni luogo, purché ti ospiti bene, va bene, è la tua
patria, tranne quella delle tue origini, per la quale conservi un legame speciale. C’è
anche una nostalgia dei tempi andati più che un desiderio di ritorno. Infatti, dei
tanti concittadini di Canosa che negli anni ’50 e ’60 sono andati al nord (a Milano in
particolare), pochi o nessuno, giunto all’età della pensione, ha fatto ritorno ai luoghi
di origine. E i ritorni estivi, in occasione delle vacanze, i codiddetti ciao ne, si sono
fatti sempre più radi, un po’ per la perdita progressiva dei genitori, rimasti a Canosa,
un po’ per l’aumentata disponibilità finanziaria. Però c’è una cosa che, come vedremo,
mi ha colpito molto della Puglia di oggi, ed è la maggiore continuità dei luoghi rispetto
al passato. Le città sono rimaste sostanzialmente intatte, anche la campagna ha
subito poche trasformazioni. Si potrebbe considerare questo un segno di staticità
sociale ed economica, ma altri segnali dicono che non è così. L’agricoltura, nonostante
la concorrenza di Paesi come Grecia, Spagna e Marocco, ha retto e non si notano
segni di degrado economico. Un’economia dignitosa. Forse perché qui chi è di troppo
va a cercar fortuna altrove. Questo spiega la non eccessiva espansione delle
cittadine. I nuovi quartieri, ove esistono, sono stati costruiti fuori dallo skyline
cittadino e non si notano.
Dicono che se uno torna dopo due anni a Las Vegas, non riconosce la strada di casa.
Dov’è il giusto?
Il grande pericolo di invasione di albanesi degli anni novanta è stato scongiurato con
il trasferimento delle attività produttive pugliesi, in particolare quelle
manifatturiere, direttamente in terra balcanica. Oggi dall’Albania vengono solo i
delinquenti delle organizzazioni criminali. Comunque sia, ho ritrovato una Puglia più
vicina a quella dei miei ricordi di quanto potessi immaginare. Pur tuttavia, oggi non
son proprio sicuro che tornerei in Puglia a finire i miei giorni. Va bene così.
Eppure, alla mia pronipote Alessia che sta completando la terza media e vuole fare
Lingue, che la porterebbe fuori di Canosa, dove si parla un’unica lingua: il canosino;
alla mia pronipote, dicevo, ho consigliato il Liceo scientifico e poi Economia e
Commercio, sulle orme del padre, commercialista, proprio per non farle subire i
problemi legati all’emigrazione.
L’indomani, lunedì, incontro programmato con la nipote Amalia e con il suo prozio
Giacomo che ci guiderà alla visita di Bari vecchia. Parcheggio la macchina sul
lungomare e non nascondo un certo timore per la fama non buona di cui gode il
vecchio borgo. Ma tutto va par il meglio, infatti, frotte di turisti vengono scaricate
dalle navi da crociera nel vicino porto e, per l’occorrenza, un servizio d’ordine
eccellente ci garantisce la piena incolumità.


Basilica di San Nicola (1087?-1197)



Bari Vecchia

Le vicende legate alla nascita della prestigiosa basilica ed alla sua importanza in ambito ecclesiastico, in quellostorico ed architettonico, sono ottimamente riportate nel Web:

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La chiesa fu costruita nell’ambito della dimora del catapano e certe asimmetrie e peculiarità strutturali discendono da questa particolarità. Inoltre, la presa di potere da parte dei normanni, in quell’epoca, spiega la sostanziale rispondenza della struttura ai canoni tipicamente normanni: pianta basilicale, presenza di un matroneo, copertura lignea, torre della crociera. Non che questi elementi costruttivi fossero assenti nell’architettura bizantina, ma sta di fatto che questa chiesa, e come vedremo, tutte le chiese di Puglia da noi visitate, ricorda molto Jumiége e le chiese di Caen . Mancano le torri occidentali, ma sono abbozzate e forse preesistenti alla chiesa, infatti sono diseguali. Quella destra ha funzione campanaria, quella di sinistra è detta delle milizie perché ha gli scalini consumati. La facciata a doppio spiovente è tripartita da due lesene, ha tre portali.


Bari, San Nicola, giochi di archi ciechi
I lati nord e sud presentano arcate profonde che mascherano i contrafforti delle navate.


Bari, San Nicola, portale

Un tempo furono chiuse e, all’interno, furono ricavate delle nicchie, poi eliminate. Anche questa soluzione strutturale si ritrova in quasi tutte le chiese pugliesi, per le quali evidentemente San Nicola ha costituito il prototipo.


Bari, San Nicola, finestra
Bei cornicioni ricamati finemente e finestre e portali con animali stilofori impreziosiscono l’esterno da ogni lato.


Bari, San Nicola, interno con matroneo

All’interno, la navata centrale presenta una successione di supporti delle arcate abbastanza particolare, forse a causa di interventi successivi di consolidamento. Infatti, entrando dall’ingresso occidentale si osservano due coppie di colonne binate, un pilastro con semicolonne, due colonne semplici ma più robuste delle precedenti e, all’altezza della crociera, ancora una colonna d’angolo. In tutto sei arcate, separate. Le colonne sono diseguali e sono chiaramente di recupero.


Bari, San Nicola, altare maggiore



Due archi trasversali, di rinforzo della struttura, aggiunti in un secondo tempo, rendono singolare il tutto, così pure funzione di rinforzo ha una struttura a tre archi retti da colonne, posta tra la navata e la crociera. Non manca il matroneo, a trifore, mentre il cleristorio è formato da piccole finestre. L’abside è poco profonda, ancor meno le absidi del transetto. Il soffitto è in legno decorato, probabilmente di epoca barocca. Si intravede, sulla crociera, l’attacco di una torre ottagonale che però è coperta da una struttura lignea e, dall’esame delle foto, non posso confermarla.

Una nicchia in fondo al transetto nord è dedicata ai fedeli di rito ortodosso, infatti questo Santo è molto venerato nei Paesi del vicino Oriente.
E’ interessante, anche come segno dei tempi, quando per tutta l’Europa circolavano vere o presunte reliquie di santi, la storia dell’arrivo delle reliquie del Santo da Mila. Ma questo è riportato nei siti citati.
Per un’informazione più accurata, vedi il citato lavoro coordinato da Stefania Mola, oltre che la voce di Wikipedia.

Cattedrale di San Sabino (secoli XII-XIII)





Bari, Cattedrale di San Sabino

La facciata è tripartita da due lesene in corrispondenza delle navate ed ha tre portali. Su quello centrale, un arco con una bifora è sovrastato da un rosone che al solstizio d’estate proietta la sua immagine di luce solare in un punto della navata, sul cui pavimento è ripetuta in un disegno in marmo. Le spinte laterali, al solito, sono sostenute da una serie di archi profondi che mascherano contrafforti, sui quali corrono esafore, molto eleganti, non allineate con gli archi sottostanti.


La chiesa attuale sorge su una struttura del VI secolo che oggi ne rappresenta la cripta. Una costruzione di epoca ntemedia a croce greca fu distrutta da Guglielmo il Malo nel 1156. La costruzione della chiesa attuale fu iniziata intorno al1178 a croce latina, a tre navate.

Bari, Statua di San Sabino su colonna, sullo sfondo, chiesa lato sud



Bari, Cattedrale di San Sabino, cupola e transetto

Una bella torre della crociera di forma ottagonale, con cupola si innesta sul quadrato della crociera con trombe di raccordo.






Bari, Cattedrale di San Sabino, torre
Due torri altissime sono sulla parte absidale. Quella sud è parzialmente caduta.

All’interno, la navata centrale è retta da colonne di recupero. Le colonne, che di solito sono sei per lato, anche nelle principali chiese tedesche, dove di norma si usa il pilastro, e simboleggiano gli apostoli, pilastri o colonne della Chiesa, qui sono otto per lato. Al di sopra, trifore incluse in archi ciechi, anch’essi non allineati con le arcature della navata, costituiscono il matroneo. In realtà si tratta di un finto matroneo perché non ha un solaio calpestabile.


Si tratta in effetti di finestre che comunicano con le navate laterali, anch’esse con copertura a capriate, ma leggermente più basse della navata centrale.



Bari, Cattedrale di San Sabino, interno con matroneo



Questa copertura a capriate delle navate laterali è assolutamente insolita in tutta l’edilizia romanica d’Europa, almeno per quanto mi risulta. Al di sopra sono allineate piccole finestre del cleristorio. Il transetto è della stessa altezza della navata. A parte la crociera, con torre in muratura, le coperture sono tutte in legno a capriate. Un tempo furono coperte di stucchi che poi per fortuna caddero e furono ripristinate le capriate.


Bari, Cattedrale di San Sabino, interno, cupola



Bari, Cattedrale di San Sabino, navata centrale con abside



L’abside è costituita da un incavo semicircolare, molto alto, e non molto profondo. Ai lati, nel transetto, in
corrispondenza delle navate laterali, sono due absidiole meno profonde. Questa è una caratteristica di tutta l’edilizia omanica vista in Puglia. In alcune chiese, all’esterno, nella parte absidale, esse sporgono (vedi Trani, Ruvo, ecc.).
Nella cattedrale di Bari il lato orientale è piano, per via di una seconda parete. La chiesa presenta, all’esterno, leganti ricami sia intorno alle finestre che in corrispondenza dei cornicioni laterali. Inoltre, figure animali sporgono ntorno a rosoni e finestre. Anche queste figure animali si ritroveranno in tutta l’edilizia pugliese. Il succorpo resenta pavimenti in mosaico dell’VIII secolo.
Una trulla cilindrica, sul lato nord, un tempo fonte battesimale, funge da sacrestia.
La cripta è molto bella anche se imbaroccata e quindi mascherata del suo aspetto originale. D’altro canto essa non pùò esere restituita al sul aspetto originale perché tutti i capitelli della cripta e spesso anche le colonne sono stati  calpellati per essere poi ricoperti di marmo intarsiato. E’ stato un bene che il restauro non abbia intaccato la strutturabarocca della cripta. Così com’è ha una validità estetica, se avessero scoperto le colonne originarie e i  capitelliscalpellati, ne sarebbe venuto fuori un obbrobrio.












Bari, Cattedrale di San Sabino, mosaici dell  cripta




Il lato sud, dal quale si ha una splendida visione laterale della chiesa, affaccia sul cortile dell’arcivescovado,  restaurato da Domenico Antonio Vaccaro, che porta al centro una statua in marmo di San Sabino.
Ambone, ciborio, sedia vescovile e, fuori, ornamenti delle finestre, dei sottotetti e dei rosoni, tutti di eccelsa fattura,  alcuni realizzati dallo scultore Acceptus, insieme alle stratificazioni risalenti all’epoca romana, ne fanno una delle  più interessanti chiese del romanico - normanno pugliese.



All’una circa ci separiamo per la colazione ed il riposino pomeridiano, con
appuntamento alle 17,30 circa per un salto a Ruvo a vedere la cattedrale del luogo.
Siamo sul luogo poco prima delle sette, per un contrattempo, poco prima della
chiusura. Vediamo prima l’interno e poi l’esterno. E’ il tramonto e stormi di rondini
volteggiano festose intorno alla cattedrale. Da noi, in Campania, le rondini non ci
sono, mai viste. L’ultima volta le ho viste a Toledo, in Spagna.


Cattedrale di Ruvo di Puglia dedicata a Santa Maria Assunta (secoli XII-XIII)

La sua caratteristica, che la distingue dalle altre chiese romaniche pugliesi, è la forte pendenza degli spioventi della cacciata, ornati da archetti pensili. Ha tre ingressi inclusi in archi ciechi. Il portale centrale è riccamente ornato. In   alun bel rosone, anch’esso ornato. Lo sovrasta una figura seduta che per alcuni rappresenta Federico II.  Sotto il rosone una bifora al di sotto un piccolo occhio, tutti riccamente decorati.





Ruvo, Cattedrale di Santa Maria Assunta





Ruvo, Cattedrale, portale






Ruvo di Puglia, Cattedrale dell'Assunto, interno


La sua caratteristica, che la distingue dalle altre chiese romaniche pugliesi, è la forte pendenza degli spioventi della facciata, ornati da archetti pensili. Ha tre ingressi inclusi in archi ciechi. Il portale centrale è riccamente ornato. In alto un bel rosone, anch’esso ornato. Lo sovrasta una figura seduta che per alcuni rappresenta Federico II. Sotto il rosone una bifora e al di sotto un piccolo occhio, tutti riccamente decorati.
La torre campanaria è all’altezza del transetto sud ma è separata dal corpo della chiesa. Lateralmente mancano gli archi profondi  che abbiamo visto nelle chiese precedentemente descritte. Alcune cappelle che sono sul lato destro, fanno ritenere che i contrafforti che normalmente sono all’esterno, qui siano inglobati nelle cappelle, all’interno della chiesa  archi profondi che abbiamo visto nelle chiese precedentemente descritte.
All’interno gli archi della navata centrale sono retti da pilastri articolati con lesene, sul lato della navata, che salgono fino alla capriata di copertura. Le altre tre facce dei pilastri portano semicolonne con capitelli a temi vegetali ed animali. In verità vi è una piccola asimmetria tra i lati della navata infatti, sul lato sinistro non sono semicolonne ma lesene con tanto di capitelli. Altra caratteristica della chiesa è la presenza di un matroneo finto, perché è aperto all’esterno e funge più che altro da cleristorio. Sotto di esso corre un ballatoio retto da mensole. La parte absidale è simile alle altre chiese pugliesi, tre incavi semicircolari, più grande quello centrale.



Ruvo Cattedrale dell'Assunta, affresco




Torniamo all’albergo per cena, dopo aver prelevato Antonina e Tonio e salutato la vecchia amica Ada, unica amicizia di Antonina a Bari.
Siamo in sette, compreso il marito di Amalia e, logicamente, Giacomo. Cena squisita e, dopo, ci permettiamo, per l’insolito tepore, di fumare una sigaretta digestiva, ai tavolini fuori nel bel giardino dell’antica villa nobiliare. Quando fa caldo, il caldo pugliese è più gradevole perché più secco.
Salutiamo Giacomo e accompagniamo Antonina e Tonio a casa, poi a nanna.

L’indomani, lasciamo l’albergo e proseguiamo con il programma che prevede visita ai
centri antichi di Giovinazzo e Trani, con relative cattedrali, e poi una breve sosta a
Canosa, il luogo da dove tutto è iniziato. Andiamo con due auto: noi ed Amalia, perché
lei in serata tornerà a Bari, dopo aver salutato i fratelli, i cognati e i nipotini.
Percorriamo la SS 16, la litoranea, costeggiata da antiche ville delle famiglie nobiliari
e abbienti del capoluogo. Lì c’è anche la villa di famiglia di Giacomo. Ai bordi della
strada, una serie continua di muretti bianchi a secco, immutati dagli anni ’60, quando
l’ho percorsa l’ultima volta, interrotti di tanto in tanto dai vialetti di accesso alle
ville. Sono quasi tutte arretrate rispetto alla strada per cui se non sai che ci sono,
non le vedi. Il punto di ritrovo di questi abitanti è Santo Spirito a 12 chilometri dal
capoluogo. All’epoca, e forse ancora oggi, era così vivibile che molti baresi avevano
fissato la loro residenza in questo ridente Centro e preferivano fare la spola con
Bari, per il lavoro. Anche qui, quanti ricordi: quando feci la quarta ginnasiale ho
passato l’estate a Palese, attaccata a Santo Spirito, ospite di mia cugina Antonina. E
lì ho conosciuto Ada con marito e figli, miei quasi coetanei. Allora c’era anche
Giovanni, il marito di Antonina, una persona di intelligenza superiore, di grande
umanità e di piacevolissima conversazione. Con lui ci divertivamo ogni giorno a
cambiare il mondo sia fisico che sociale. Alla fine è stato il mondo a cambiare lui: in
cenere.
La costa di Palese, almeno il posto dove andavamo noi, è a scogli, ed io che non sono
mai stato un pesciolino, arrivai a fatica, quasi a fine estate, a conquistarmi uno
scoglio, in verità distante solo pochi metri dalla riva, dal quale facevo i miei arditi
tuffi in acqua alta un metro.

Arrivati a Giovinazzo, posiamo le auto e ci rechiamo al porticciolo, isola pedonale, sul
quale affaccia il borgo antico. La cattedrale è stata rifatta più volte e conserva ben
poco della struttura medioevale. Poi, il prete della chiesa ostinatamente non ci ha
consentito di scattare foto dell’interno, tranne una rubata da Marisa.

Cattedrale di Santa Maria Assunta di Giovinazzo (secoli XII-XVIII)





Cattedrale di Santa Maria Assunta di Giovinazzo



E’ una chiesa che nei secoli è stata ripetutamente rimaneggiata. Infatti è nata a croce latina con transetto, sullo stile di  San  Nicola di Bari mentre oggi si presenta ad una sola navata, senza transetto e con la navata a tre soli archi. Sembra che la parte medioevale rimanente sia solo il lato meridionale ma non si conosce la struttura originaria, con  l'ingresso. 




Giovinazzo, Cattedrale di Santa Maria Assunta, torri


 Nell’ottocento furono ricostruite altre parti, comprese le torri, nello stile originario.

L’interno è barocco, con soffitti a cupole ribassate. Poi, il prete della chiesa, arcigno custode della funzione religiosa della chiesa, non ha consentito lo scatto di foto che documentassero l’architettura attuale della stessa, Posso documentare l’interno con una sola foto rubata da Marisa prima del divieto assoluto del prete di scattare altre foto.
Insomma, da un punto di vista architettonico, un ibrido, gelosamente custodito. L’ingresso principale è appunto quello meridionale con doppia scalinata. Le due torri, diseguali, ornano la parte absidale. Archi ciechi incrociati, in stile arabo, ornano sia il lato sud che gli altri lati. La facciata ovest è poco significativa. All’interno, l’abside ripete la struttura delle altre chiese pugliesi ed all’esterno è piana.



Giovinazzo, Cattedrale dell'Assunta, soffitto a cupole



Lasciamo Giovinazzo per l’aristocratica Trani. Adesso divide il titolo di capoluogo di  Provincia con Barletta ed Andria. Fosse per me, a parte che condivido l’inutilità di   questa istituzione, avrei dato il titolo a Trani anche perché questa condivisione del  titolo pone grossi problemi allorquando in un documento devi mettere la sigla della  provincia e ti mettono a disposizione solo due caselle. Come faccio io di Canosa a  mettere la sigla della mia provincia? 
Trani è una città che ho frequentato più volte, da ragazzo. E poi, quando si voleva  fare un bagno diverso da quelli affollati di Barletta, con il mare sempre pieno di  meduse, ti allungavi fino a Trani, con la costa di scogli o ciottoli, ricca di insenature,  dove ci si trovava solo noi del nostro gruppo. L’acqua, ancor oggi è cristallina. In una di quelle insenature ho fatto i bagni, facendo la spola in autobus da Canosa, durante
il mio primo periodo di ferie lavorative, undici giorni in tutto, compreso il viaggio di andata e ritorno, e sono tornato a Napoli così abbronzato che i miei colleghi di lavoro mi hanno scambiato per un nero.

Nella cripta della Cattedrale si è sposato mio nipote che incontreremo tra poco a  Canosa, ma la chiesa superiore non la conoscevo. Al nostro arrivo, all’una circa, era  chiusa. Ci informiamo: riapre alle tre e mezza. Occupiamo con Amalia il tempo gironzolare per la villa comunale, il borgo antico con le altre sue chiese e gli antichi  palazzi nobiliari oggi sedi delle istituzioni. Consumiamo un modesto spuntino seduti al
tavolino di un bar, sul porto dei pescatori e ci si avvicina e si accuccia presso di noi  un bel cane nero dei pescatori che, quando è in mare, avverte dell’arrivo di una  burrasca, in terra circola libero sul porto. Non vuole mangiare e rifiuta il cibo nostro  e di altri, ma accetta volentieri le carezze.
Alla riapertura della cattedrale ci ritroviamo in chiesa con un nugolo di scolari in gita scolastica. Avrei voluto vedere il prete di Giovinazzo fronteggiare questa marea festante e chiassosa che scattava foto all’impazzata con i telefonini. Si avvicina un tale che si offre di farci da Cicerone. Acconsentiamo, anche se è ubriaco fradicio e quasi farfuglia. Però scopriamo subito che è documentatissimo e molte notizie che
noi avevamo assunte prima della partenza, si ritrovano nella sua esposizione.
Cominciamo dall’ipogeo, aperto al pubblico da poco e poi risalendo fino alla chiesa
superiore.

Cattedrale di San Nicola Pellegrino a Trani (secoli XI-XIII).



Trani, Cattedrale di San Nicola Pellegrino




Gran bella chiesa, la più bella tra quelle visitate in Puglia, che riassume tutte le caratteristiche del romanico pugliese, con tanto di doppia cripta gigantesca ed ipogeo recentemente scoperto. La pietra utilizzata è quella bianca oro di Trani.
La chiesa è collocata, ben isolata, a pochi metri dal mare e dal porto dei pescatori, quindi in posizione incantevole. In verità la bella chiesa è troppo isolata, quasi decontestualizzata dal borgo medioevale e rinascimentale che, da quello che rimane, è di notevole livello architettonico. Inoltre ha delle caratteristiche che, come vedremo, la rendono unica nell’architettura medioevale europea. Oggi, ma non è sempre stato così, la magnifica chiesa svetta solitaria in questo incredibile contesto, altissima, perché la stessa cripta non è interrata. Infatti alla chiesa superiore si accede tramite una doppia scalinata esterna simmetrica alla facciata, ed individua un arco sottostante che ne rende il prospetto unico nell’architettura romanica, per quanto ne sappia. Inoltre, sul lato sud, in linea con la facciata,vi è la torre campanaria, alta sessanta metri, a sei piani, a base quadrata, con cuspide ottagonale. E’ attaccata alla chiesa con un altissimo arco di passaggio, all’epoca necessario, che ha dato non pochi problemi di statica al bel campanile.
Grandi spazi tutt’ intorno, l’azzurro intenso del cielo ed il blu profondo del mare, fanno spiccare tutta la magnificenza di questa chiesa di color bianco miele rosato.




Trani, San Nicola Pellegrino, portale originario



La facciata ha tre ingressi, due modesti ricavati negli archi ciechi già detti, e poi quello centrale, impreziosito da un protiro con leoni stilofori. Il portale in bronzo di Barisano da Trani, del XII secolo, ora è all’interno sul lato sinistro.
Ai lati del portale vi sono archi ciechi, a tutto sesto, quattro per lato ed occupano tutta la lunghezza della facciata.
Gli archi sono finemente intarsiati.




Trani, Cattedrale, finestra
 
Più in alto si osservano tre finestre, quella centrale con leoni ed elefanti che reggono colonne binate e, al di sopra, un bel rosone, al solito contornato da figure animali.
Lateralmente ritroviamo i contrafforti collegati con archi che continuano sui transetti con archi ciechi. Il transetto sud presenta un bellissimo rosone, più elaborato di quello della facciata, mentre quello nord, una finestra tetrafora, forse di recupero. Il sottotetto dei transetti ha un cornicione con figure umane ed animali. Figure animali ei figure mostruose sporgono qua e là.
 
 
 
 
Trani, Cattedrale, abside
 
 
 


 

 

Trani, Cattedrale di San Nicola Pellegrino, interno, navata centrale



L’interno è una capolavoro di sei archi retti da colonne binate di recupero, con capitelli sfigurati da mode
precedenti, unico neo di tutta la chiesa. Le colonne binate le avevamo viste a San Nicola di Bari, ma solo due coppie.
Questa soluzione per la navata di Trani sembra avere il carattere di unicità nell’architettura romanica. Al livello superiore il solito matroneo a trifore e, al di sopra, piccole finestre del cleristorio. Il soffitto, anche quello del transetto, è a capriate di legno.

Trani, Cattedrale di San Nicola Pellegrino, interno, transetto


Il transetto nord porta un’apertura, ora murata, dalla quale il nostro Cicerone dice che Federico II seguisse le funzioni religiose, guardando il mare. Dopo di lui, poiché nessuno sarebbe stato più degno di occupare quel posto, l’apertura fu murata.




Tani, Cattedrale di San Nicola Pellegrino, cripta

Al di sotto ci sono due cripte: quella di Santa Maria della Scala e quella di San Nicola Pellegrino, fitta di colonne provenienti da Canosa. Come si vede, anche nel Medioevo c’erano furti ed spoliazioni di reperti antichi, anche se probabilmente legalizzati da vescovi prepotenti. Vi è inoltre l’ipogeo di San Leucio del VII secolo che è sotto il livello del mare.


Trani, Cattedrale di San Nicola Pellegrino, affresco




 Lasciamo Trani verso le cinque e finalmente ci dirigiamo verso Canosa, ultima tappa
Nell’anno della maturità, il 1956, alla festa di San Sabino, che cade il 1° agosto,
invitai il mio ormai ex professore di latino e greco, professor Maglieri, di Cerignola,
dove avevo frequentato il liceo. Era molto alla mano, ma, all’occorrenza sapeva farti
impegnare. La festa, come al solito, si protrasse fino a tardi ed io mi offrii di
riaccompagnarlo in Vespa. Un foglio di giornale sotto la canottiera e via. Durante il
percorso il prof. mi chiese se avevo degli orientamenti per gli studi universitari ed io
risposi che ero orientato per Chimica a Napoli, che offriva sbocchi interessanti. Si
arrabbiò moltissimo, innanzitutto per la scelta di una facoltà scientifica,
arrabbiatura comprensibile da parte di un uomo di cultura classica, ma soprattutto
per la necessità di emigrare, scelta da me ritenuta stimolante. Anche mio cognato mi
consigliò Giurisprudenza a Bari, con la possibilità di rimanere nella mia cittadina. A
distanza di tanti anni e a carriera terminata, non mi pento della scelta fatta. I
giovani hanno diritto a cercarsi gli spazi che vogliono. Fossi rimasto a Canosa,
facendo il funzionario comunale o l’Azzeccagarbugli degli incidenti automobilistici,
forse mi sarebbe rimasto lo scrupolo di non aver osato. D’altronde, non ho mai avuto
ripensamenti, d’altro canto Napoli non è New York, per certi versi è più provinciale di
Canosa. Comunque, non mi è andata male perché ho trovato, subito dopo la laurea, un
lavoro interessante di ricercatore nel campo delle chimica farmaceutica e poi ho
fatto carriera.
Ma, tornando ai ricordi legati alla Vespa, penso che ci aveva dato un senso di libertà
e di allargamento degli orizzonti, come solo l’automobile ha fatto successivamente,
logicamente con un raggio d’azione maggiore. Ma con la Vespa assaporavi in modo
tattile il senso di libertà fendendo l’aria con il corpo e sentendoti appartenere più al
mondo dei volatili che a quello di un animale terrestre. Ancora oggi, che soffro
facilmente di mal di gola, ho un motorino e, col bel tempo, giro per Ischia, vivendo la
stessa sensazione di libertà vissuta allora, zigzagando tra le auto e gli altri motorini.
In verità io penso che la specie animale che più si gode questa libertà offerta dalla
natura, sia il volatile. Spesso, quando vado in barca, dovendo stare ore immobilizzato
supino a prendere il sole, ho spesso osservato che i gabbiani si lasciano trasportare
dalle correnti ascensionali, con le ali quasi ferme, e vanno su a perdita d’occhio. Loro
sì che si gustano la libertà di guazzare nella terza dimensione, per puro
divertimento.
Peccato che oggi impongano tutti questi limiti di uso, con la scusa dell’inquinamento!
E’ in atto una vera campagna di demonizzazione del mezzo di trasporto individuale.
Purtroppo ci si mettono anche i ragazzi che si vanno a sfracellare dopo la nottata in
discoteca. Non è come negli anni ’50 e ’60. Ogni epoca ha i suoi miti ed i suoi
strumenti per scaricare la vivacità dei giovani. Vero è che siamo in troppi e, specie
nel napoletano, soffriamo della sindrome da sovraffollamento che, in Puglia, da
quanto ho notato, è molto meno sentita.





Canosa, scalinata verso il Castello

Arrivati a Canosa si realizza il terzo obiettivo del nostro viaggio: l’incontro di altri
due miei nipoti, con i rispettivi consorti e i loro due figli Alessia, ormai una
signorinella, e Domenico, tirati su magnificamente. C’è anche Gigi che però è stato
fagocitato dalla famiglia della moglie e di fatto non lo si vede più
della nostra cara sorella Lea, tanto allegra ed ottimista, quanto sfortunata, in vita. E’
stata ospite nostra ad Ischia l’anno scorso, appena prima di lasciarci per sempre. E’
stata accudita, per otto anni, dalla coppia ucraina Pietro e Maria e pianta da loro
come una figlia, quando ci ha lasciati. Perciò il testimone delle nostre famiglie, quello
della nostra famiglia e quello della famiglia di suo marito, a Canosa, è passato a loro
. Sono tutti figli.
Loro abitano in un rione di recente costruzione, sulla via di Andria. Infatti il centro
antico, il cosiddetto Corso, è rimasto intatto, compresa la nostra casa natale che ha
la facciata con ancora la pitturazione che fece mio padre nell’immediato dopoguerra,
a seguito di Ordinanza del sindaco, per ridare dignità ad una cittadina che aveva
subito le vicende della guerra, anche con un bombardamento che colpì di striscio
anche casa nostra. E la pittura ha retto per tutti questi anni. In verità, ora avrebbe
bisogno di una rinfrescata, ma non è più di nostra proprietà. L’interno conserva
ancora i parati originali e soprattutto gli affreschi ai soffitti. Un soggetto e uno
stile per ogni stanza. Ricordo, in particolare, il soffitto del salotto, un cielo azzurro
con nuvole banco-rosa con figure femminili sospese nell’aria, con vestiti diafani.
Tutt’intorno una balconata con figure umane che guardano verso il basso, come alcuni
soffitti di edifici palladiani dipinti dal Tiepolo. Mentre la stanza adibita ad ufficio da
nostro padre è affrescata a
negli scavi della Dumus Aurea di Nerone, e che Raffaello adottò per affrescare le
famose logge vaticane. Evidentemente questi stili pittorici erano tornati di moda a
fine ottocento, quando fu costruita la nostra casa.



Canosa, casa Lembo, affreschi a Grottesche
Canosa, casa Lembo, affreschi alla Tiepolo (quel che resta)


grottesche, quello stile scoperto da Raffaello nel 1480,
Ricordo la festa di matrimonio di mia sorella Lea, una bella festa. E, allora, c’era
ovviamente anche Giacomo, cugino dello sposo.
Oggi c’è un albergo con ristorante, ma gli affreschi dovrebbero essere tutelati ed
eventualmente restaurati, anche se otto anni fa, ultima volta che li ho visti, mi
sembravano ancora in buono stato.
Il rione popolare del Castello è stato abbandonato dai canosini, perché le case non
possono essere ristrutturate secondo le nuove esigenze abitative. E sono sorti pub e
ristoranti e si fa la movida, mentre i canosini si sono spostati nel nuovo quartiere di
cui parlavo. Lì appunto abitano i miei nipoti. Sono tutti figli della nostra cara sorella
Lea, tanto allegra ed ottimista, quanto sfortunata, in vita. E’ stata ospite nostra ad
Ischia l’anno scorso, appena prima di lasciarci per sempre. E’ stata accudita, per otto
anni, dalla coppia ucraina Pietro e Maria e pianta da loro come una figlia, quando ci ha
lasciati.








Canosa, Cattedrale di San Sabino


Canosa, Cattedrale di San Sabino

La sua origine è ignota, certamente è antecedente alla calata dei Normanni infatti, nonostante i vari interventi strutturali che si sono succeduti nei secoli, in primis la facciata del XIX secolo, che ne hanno stravolto l’aspetto della facciata, essa non presenta gli elementi costruttivi tipici del Romanico normanno-pugliese. Risale quanto meno all’epoca longobarda.






Canosa, Cattedrale di San Sabino, interno, navata centrale




E’ a tre navate con cappelle laterali. La navata centrale è a cinque campate con volte a vela. Le due più antiche, quelle prossime al presbiterio, sono sostenute da colonne in marmo verde e portano un muro bianco con due finestre e sotto tre aperture di collegamento alla navata laterale. Le tre campate, dalla parte dell’ingresso, sono in marmo di differente natura, sono aperte lateralmente da un’unica arcata e non presentano finestre per la luce diretta. Infatti questa parte della chiesa è più buia. Lo stacco tra le campate più recenti e quelle più antiche è sottolineato da un arco trasversale alla navata, molto evidente. Anche il pavimento della chiesa sottolinea la differenza costruttiva.





Canosa, Cattedrale di San Sabino, ambone



Lungo la navata , sulla sinistra, si osserva uno splendido ambone realizzato dallo scultore Acceptus.
Anche il seggio vescovile, in fondo all’abside, è di ottima fattura ed è opera di Romualdo. Entrambe le
realizzazioni risalgono al secolo XI.






Mausoleo di Boemondo, principe della I Crociata

In fondo al braccio destro del transetto, un’apertura conduce al Mausoleo di Boemondo(1111-1118),
eroe della I Crociata, che volle farsi seppellire in questa chiesa.

A Canosa vengo spesso, anche se fugacemente.
Un saluto veloce ai miei familiari, rifornimento di olio, vino e taralli con il finocchietto e poi via: Amalia torna a Bari, presso suo marito Michele e i suoi figli maschi Giuseppe e Marcello, ancora in cerca di una definizione stabile di vita, e noi in Campania.








 
 
prima del ritorno a casa. Amalia ci conduce per una strada recente che bypassa
Barletta e si innesta subito dopo sulla vecchia Barletta-Canosa. E’ una strada che
conosco bene, anzi benissimo, tante sono le volte che l’ho percorsa, per i più svariati
motivi. Innanzitutto per andare a mare, sia quello di Barletta che, come già detto,
quello di Trani. Siamo andati in autobus, ma soprattutto in Vespa, quando eravamo
ragazzi, io, quello scapestrato (allora) di mio fratello, e poi mia sorella, con nugoli di
amici, tutti motorizzati, come era normale in paese. E’ un lungo rettilineo di circa 20
chilometri con una sola curva a 90° a circa metà strada, nei pressi di Canne della
battaglia, a parte i tornanti nei pressi di Canosa. E’ rimasta intatta, a parte l’innesto
dell’autostrada presso Canosa e quello della superstrada da noi percorso.
E poi i ricordi si infittiscono, con le corse in Vespa, le conquiste di ragazze mediate
da questo mezzo innovativo all’epoca e molto ambito dalle fanciulle. Abbiamo
percorso tutte le strade della provincia (quella di Bari, per intenderci) ed anche
oltre. La Canosa Barletta mi ricorda anche di un incidente in Vespa vissuto da mio
fratello e me. Avevamo tolto la marmitta alla Vespa per renderla più veloce, ma
all’altezza dell’attuale innesto dell’autostrada la Vespa si bloccò per grippaggio delle
fasce elastiche, il mezzo si inclinò sul lato sinistro e mio fratello ed io fummo
adagiati dolcemente a terra, come fanno i centauri delle moto. Scivolammo
sull’asfalto per alcuni metri, ma, poiché era inverno ed eravamo protetti da cappotti
e guanti, non avemmo conseguenze. Gli indumenti andarono perduti. Ci rialzammo e,
ridendo a crepapelle, ritornammo a casa.
Da quelle parti avevamo anche un podere di nostra proprietà coltivato a vigna ed
ulivi. E mio padre faceva la vendemmia, mandando noi figli maschi, di circa dieci anni,
al frantoio, a controllare che non ci derubassero. E ci derubavano, tanto che mio
padre si vendette il podere perché i prodotti che ricavava gli costavano più che al
mercato. Però ricordo chiaramente le varie fasi sia della lavorazione dell’uva, sia
della pigiatura delle olive, le grandi presse, fino alla brillatura dell’olio fresco,
raccolto in grandi cilindri. E’ che mio padre non aveva una persona di fiducia che
tutelasse i propri interessi. Sapeva fare il commerciante all’ingrosso ed i prodotti
della terra di Canosa prendevano la via del nord, ancora grezzi. Forse ancora oggi.
Vedo ancora pochi prodotti della nostra area, imbottigliati. Eppure olio e vino sono
ottimi ed io ancora oggi consumo solo quelli.
Ovviamente facevamo escursioni a Monticchio, a Venosa, paese natale di mia madre.
D’estate non v’era spiaggia o scoglio da Trani a Vieste, dove non andassimo a fare il
bagno, sempre in Vespa.

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