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mercoledì 22 febbraio 2012

Viaggio a Istanbul, per la ricorrenza dei 40 anni di matrimonio






 
 
 
 
 
 
 
 
 

Moschea Blu
 
 
 
 
 
Viaggio a Istanbul
per la ricorrenza dei 40 anni di matrimonio 9 -13 giugno 2005
 
Еίςτην πολιν, verso la città, è il significato in lingua greca antica, alquanto storpiato nel lnguaggio corrente, del nuovo nome dato a Costantinopol nel 1928, quando la capitale della Turchia fu spostata ad Ankara. Il primo nome che si conosca è invece Bisanzio, da quello del cittadino megarese che vi si insediò nel 667 A. C. circa. Il nome di Costantinopoli le è stato dato da Costantino nel 330, che la rifondò più grande. Strano quanto durano a morire i nomi. Bisanzio, pur avendo cambiato nome per volere di una persona molto importante, sopravvisse per oltre un millennio nei termini: impero bizantino, stile artistico e cavilli burocratici. A proposito, nelle trattative in corso per l'ingresso della Turchia nella Comunità Europea, io metterei il ripristino della denominazione di Costantinopoli o meglio Bisanzio della Cttà, come segno di un volgere di nuovo il suo sguardo verso Occidente.
 
Punti di vista
 Ogni città ha uno o più punti di osservazione privilegiati che ti
consentono di coglierne il carattere. Così Roma dal Pincio, Parigi dal Sacro
Cuore o dalla Tour Eiffel. Londra, in verità, con i grattacieli costruiti di recente,
essendosi votata alla modernità ed alla trasformazione, è meglio non vederla
in panoramica; persino la City è in rinnovamento ed i vecchi edifici
seicenteschi ad un piano stanno scomparendo e con essi una certa idea della
città. In tutte queste città ed in molte altre il punto di osservazione ottimale è
in alto.
Per Istanbul non è così.



Il ponte Galata di sera




Il Corno d’Oro
Lo chiamano Corno d’Oro per via dei riflessi dorati che il sole del
tramonto disegna sullo specchio d’acqua che s’insinua serpeggiando tra il
promontorio-penisola della vecchia Istanbul (quartieri Serraglio, Sultanahmet
e Bazar) e il versante dei nuovi insediamenti (Beyoglu). Da un punto di vista
geografico si tratta della foce di una serie di fiumi che nascono nell’interno
della Tracia e confluiscono nel Bosforo al punto di innesto con il mar di
Marmara. L’orientamento è NO-SE, pertanto, al tramonto, specie in
corrispondenza del solstizio d’estate, quando c’eravamo noi, il sole tramonta
in fondo al fiordo del Corno d’Oro, dietro le alture. Infatti le due coste che
affacciano sul Corno d’Oro sono in dolce pendenza verso il mare partendo da
una quota di circa 30-50 metri.
La veduta migliore, non solo del fenomeno, ma di tutta la città è sul
ponte di Galata che taglia il Corno d’Oro alla fine, di fronte alla costa asiatica.




Tramonto sul Corno d'Oro dal ponte Galata


Il ponte è a due piani ed il posto migliore per osservare la Città e
coglierne lo spirito, ed anche gli odori, è al piano inferiore, quasi sul pelo
dell’acqua. Lì sei praticamente al centro della città ed abbracci (o meglio sei
abbracciato) tutti i "pezzi" di questa megalopoli: il promontorio dell’antico
insediamento, la parte nuova che, in costa europea, costeggia il Bosforo, e la
parte asiatica, vicinissima, che, incantata dalla visione di moschee e minareti,
pare voglia avvicinarsi il più possibile alla Città europea. Da quel ponte tutto
questo è reale e ne senti il profumo ed il vociare della gente, oltre a veder
svettare le moschee circondate da minareti, le chiese bizantine e tutti gli
edifici importanti lungo. Vedi il degradare delle alture del promontorio del
primo insediamento e quello degli altri versanti. E poi la senti palpitare dalle
innumerevoli imbarcazioni di tutti i tipi e misure che ti passano davanti e
congiungono, in un frenetico andirivieni, tutte le coste. Volendo, un punto di
osservazione dall’alto esiste ed è anche molto interessante: è la torre di
Galata, lì vicino, in alto, dal lato di Beyoglu, e consente di godere della veduta
del Corno d’Oro e di buona parte di quello che puoi goderti dal ponte.
Ma non è la stessa cosa.



Santa Sofia e moschea Blu. Sullo sfondo il mar di Marmara



Il ponte Galata visto dalla torre e dietro il centro antico



Ma come mai cominciare delle note di viaggio di una città cominciando
dall’acqua? Non è poi così strano perché, come per parlare di Venezia, è
lecito iniziare dai canali che, come una rete, avvolgono e permeano quella
città, così per Istanbul, i tre pezzi di cui è costituita hanno il loro punto
d’incontro sull’acqua, proprio in prossimità del famoso ponte. Questo
sostituisce uno più antico in legno, pare molto più caratteristico, sempre a
due livelli, spostato più a monte. Il livello superiore del ponte di Galata ospita
la sede stradale, quello inferiore, quasi sul mare, ospita bar e ristoranti. Solo
la parte centrale non ha il piano basso ed è destinata alla navigazione. Una
terrazza al centro del ponte consente di godere la vista del sole al tramonto
sul Corno d’Oro, solcato da imbarcazioni di tutte le dimensioni. Così al
tavolino di uno dei localini sotto il ponte si può godere il panorama della città
sorseggiando un tè alla mela. La vista dal basso inoltre mette in risalto cupole
e minareti delle moschee e tutti gli edifici storici della Città.
Sul parapetto superiore del ponte, da ambo i versanti, a qualunque ora
della giornata, ma in particolare alla sera, una fila ininterrotta di canne da
pesca raccolgono dal generoso mare incredibili quantità di sardine.



Pesca sul ponte Galata, sullo sfondo, la torre omonima



Sul lato sinistro, verso la città vecchia, c’è l’imbarcadero di Eminonu,
per le altre località delle coste ed in particolare per quelle della costa asiatica.
Nell’attesa dell’imbarco puoi assaggiare un panino alle aringhe, grigliate al
momento. Ed è un via vai continuo e frenetico su quello spiazzo
animatissimo. Di là anche noi, nell’ultimo pomeriggio, ci siamo imbarcati su
un piccolo battello per il giro della costa.



L'imbarcadero di Eminomu


La costa europea del Bosforo è sicuramente la più interessante per la
presenza, lungo la stessa, di antiche e nuove residenze in parte utilizzate per
ristoranti, festini e matrimoni, in parte ancora in uso quali residenze di
nababbi e credo anche delle autorità politiche e delle autorità istituzionali.
L’escursione lungo il Bosforo di solito prosegue fino al ponte sospeso, il
quarto al mondo del suo genere, utile per raggiungere la costa asiatica in
auto (come avevamo già fatto noi al mattino per toccare il suolo del nostro
terzo continente). In verità sul versante asiatico non sembra ci sia molto da
vedere: ancora antiche ville trasformate in ristoranti, ma meno fastose delle
dirimpettaie e qualche superstite casa in legno, sopravvissuta alle ingiurie del
tempo.



Le tre coste dalla torre di Galata a Beyoglu



La via più animata di Istanbul, anche di domenica, con negozi
regolarmente aperti, è Istikal Caddesi, nel quartiere di Beyoglu (di cui dirò
dopo), le cui vetrine portano prodotti con le firme che trovi a Roma, Milano e
Napoli nel quartiere di Chiaia: Armani, Versace ecc., a prezzi impossibili. Per
il resto è prevalente l’edilizia anonima moderna, a villette ma, in alcuni rioni
con complessi multipiano tipo Centro Direzionale di Napoli. Questo in tutta
Istanbul appena fuori dalla ristretta area prossima al nucleo primitivo.
In verità, per questa città vale la triste constatazione che la
globalizzazione sta interessando anche l’edilizia delle periferie, rendendole
terribilmente simili in qualunque parte del mondo, e se non ci preoccupiamo
di salvaguardare le strutture edilizie e le identità culturali dei centri antichi,
non avremo più bisogno di viaggiare.
Tuttavia per Istanbul esiste un altro problema e cioè che è una città che ha
avuto il privilegio di essere, forse per più tempo di ogni altra nel Mediterraneo
(a parte l’Egitto, in altre epoche), capitale di un impero: per mille anni:
capitale dell’ impero romano d’oriente, di quello bizantino, e poi di quello
ottomano, fino agli inizi del ventesimo secolo. Questa continuità però l’ha
pagata perché il nuovo ha divorato il vecchio, specie quando non ne
rappresentava la continuità. Così, di presenze romane poche o niente: pezzi
di fortificazioni ed un tratto di acquedotto. Ma quello che sorprende è la
scarsezza di testimonianze bizantine, che per mille anni hanno rappresentato
e garantito la continuità della civiltà occidentale, anche per noi.
La chiesa di Santa Sofia, da noi visitata, e le altre tre o quattro presenti,
sono gli unici splendidi esempi dello stile bizantino, con mosaici bellissimi a
tessere minutissime, con le immagini dei santi stilizzate da icona, colonne
con originali capitelli cavi a volute floreali, tutti diversi tra loro, un matroneo
vastissimo da cui si gode la veduta d’insieme della chiesa e la luce delle
aperture. Da un sondaggio che appare su un intonaco di un muro, si
intravede ancora un pezzo di mosaico a sfondo d’oro, e dimostra che la
chiesa nasconde ben altri tesori, oltre a quelli restituiti, che non sappiamo se
si abbia la volontà di recuperare.
Sono ben conservate, invece, e ne costituiscono la principale attrazione
turistica, le testimonianze architettoniche, culturali e di divertimento del
recente impero ottomano, di cui la Turchia attuale costituisce la continuazione
in sedicesima.
Ma andiamo con ordine.

Il viaggio
Il viaggio da Roma a Istanbul è stato preceduto da un trilemma su come
raggiungere l’aeroporto della Capitale: in auto, la mattina del volo (bisogna
partire troppo presto e c’è l’incognita del traffico sul Raccordo Anulare); per
treno, stessa levataccia e il fastidio dei tre trasbordi Cumana, Metropolitana,
Ferrovie dello Stato. Prevale una terza soluzione più comoda, da turisti avanti
con gli anni: partenza per Roma la sera precedente, in treno, pernottamento
da zia Ninotta, ottima occasione per salutarla, l’indomani in taxi a Fiumicino. Il
traffico a Roma è incredibile e non conviene fare affidamento sugli
spostamenti sia in Città che sul Raccordo Anulare, se si hanno tempi
stringati.
Viaggio comodo anche se l’aeroporto di Istanbul ha un vento costante,
forse laterale, che fa ballare gli aerei sia in atterraggio che al decollo, come
se i piloti fossero tutti alla prima esperienza di volo. Tempo discreto, come in
Italia, ma nei giorni successivi abbiamo indossato tutto quello che ci eravamo
portato. In particolare le foto mostreranno che il giorno successivo, venerdì,
con la visita al Topkapi le foto degli interni, bellissimi, sono tutte mosse.
All’aeroporto l’uomo dell’agenzia ci aggrega, per la sera, ad un gruppo
di escursionisti italiani che fa il giro della Turchia.



Il nostro Cicerone per una sera



Così siamo accompagnati all’albergo nel quartiere di Taxim, nuovo e
frenetico, sull’altura del Beyoglu, dov’è la torre di Galata. Fa parte di una
serie di alberghi costruiti in un’area ristretta, pedonalizzata e ben sorvegliata
dalla polizia. Subito ci conducono alla visita della moschea del Solimano e
cena in un locale caratteristico, dove, distratti dalla compagnia, mangiamo,
tra l’altro, un’invitante insalata mista fresca. Tutta la cucina è pepatissima.
Ripareremo dopo alla imprudenza di aver mangiato cibo crudo prendendo
una compressa ciascuno di Bactrim. Nessuna conseguenza. Ad un altro
locale si fuma il narghilè e si beve tè alla mela. Passeggiata notturna in
centro, alla piazza detta del sultanato (Sultanahmet), sulla quale affacciano la
Moschea Blu e Santa Sofia.



Moschea Blu dalla piazza Sultanahmet




Santa Sofia dalla piazza Sultanahmet



Il Topkapi
L’indomani, sabato, comincia per noi la parte fai da te, con visita al
Topkapi. I taxi sono frequentissimi e lo spostamento dall’albergo al centro
antico costa circa 10 delle nuove lire turche (1 LT=0,7 Euro circa). La
complicazione monetaria è costituita dal fatto che questa moneta è in vigore
da gennaio scorso e costituisce una rivalutazione di un milione di volte della
vecchia moneta, di aspetto simile. Così circolano contemporaneamente oltre
alla nuova Lira, metallica (che, guarda caso, somiglia molto all’Euro), e la
vecchia cartamoneta da un milione. Questo consente a qualche disonesto di
tentare di imbrogliare l’improvvido turista, non noi, rifilando un milione (che
vale una lira) per 10 Lire.
Il Topkapi è ubicato sulla parte terminale della penisola nel quartiere del
Serraglio e quindi guarda sia il Corno d’Oro sia il Mar di Marmara, sia il
Bosforo e la vicina costa asiatica. E’ il più antico sito abitativo di Istanbul.
Sicuramente è presente in epoca greca, intorno al 660 A. C. A ridosso di tale
quartiere vi sono il Sultanahmet, già menzionato e il quartiere Bazar che
visiteremo.




Complesso del Topkapi, sullo sfondo il mar di Marmara



La giornata, da un punto di vista meteorologico, non è delle migliori,
perciò le foto di esterni vengono piatte e quelle degli interni, mosse. Quello
che sorprende subito è la ripartizione degli spazi esterni. Dappertutto targhe
in ceramica con la sigla di Solimano I. A parte il viale d’ingresso, gli spazi tra i
vari edifici, tutti ad uno, massimo due piani, che costituiscono il complesso,
sono a misura d’uomo e ricchi di verde. Abbondano, anche all’interno, le
fontane e le vasche per le abluzioni. Negli interni, le pareti sono
generalmente decorate con piastrelle multicolori che portano motivi
prevalentemente floreali. E’ un’apoteosi di disegni e colori di cui alla fine ti
resta solo la meraviglia e le poche foto non mosse. Gli interni non sono
monumentali come nei nostri palazzi reali, ma sono di dimensioni umane e
tutto mostra la vivibilità ed il comfort raffinato di chi vi è vissuto.



Topkapi, una delle porte di accesso



Topkapi, iscrizione



Topkapi, la sigla di Solimano, onnipresente



Visitiamo i vari edifici del complesso tra cui ovviamente la tesoreria con
i preziosi tra i quali il pugnale che ispirò il film "Topkapi".




Maioliche del Topkapi



Maioliche del Topkapi




Topkapi, maioliche dell'Harem



Topkapi, fontana con vasca



Il punto più bello e spettacolare del complesso è un balcone con un
piccolo gazebo con copertura in oro, posto ovviamente al margine di una
fontana e dal quale si gode la vista del Corno d’Oro.



Topkapi, gazebo panoramico


Staresti le ore a vedere il via vai di traghetti ed imbarcazioni di tutte le
misure che solcano quello specchio d’acqua.
L’altro gioiello del complesso è l’Harem, costituito da una serie di
ambienti non grandi e cortili, anch’essi di dimensioni contenute. Tutti arricchiti
di maioliche fregi e ornamenti di gran gusto. Pare che nei momenti migliori
ospitasse fino a 300 concubine, oltre agli eunuchi ed la personale di servizio.
In verità in tanti dovevano stare un po’ stretti. Nell’Harem comandava la
madre del sultano e subito dopo la favorita. Era il regno degli inciuci ma
anche del comando effettivo del sultanato.

Santa Sofia
Al pomeriggio visita a Santa Sofia e poi alla vicina Moschea blu. La
differenza tra una basilica cristiana ed un moschea è che le prime possono
essere a croce greca o latina, a più navate e con o senza matroneo. Le
moschee sono degli ambienti totalmente vuoti, generalmente a pianta
quadrata, sotto un’immensa cupola e, come pavimento, un grande tappeto
che prende tutto l’interno e porta un disegno, tipo preghiera, ripetuto
all’infinito, orientato verso La Mecca. Così è anche l’interno della Moschea
blu, le cui stupende maioliche che ne ricoprono completamente le pareti
interne, non sono visibili da vicino, perché lo spazio riservato ai visitatori è
minimo, né fotografabili. Santa Sofia è bellissima, a pianta centrale
sormontata da una enorme cupola, altissima. Intorno alla struttura centrale
gira una navata che, in fondo, si raccorda con l’abside. Il piano superiore è un
ampio matroneo dal quale si ammirano i capitelli a motivi floreali vuoti dentro
e tutti diversi tra loro. Dopo i mosaici sono la cosa più bella della basilica.



Santa Sofia, mosaico con la Vergine, Giovanni II e l'imperatrice Irene




Santa Sofia, capitello traforato


Quello che potremmo definire tamburo della cupola centrale porta una
doppia serie di finestre che, unite alla luce proveniente dal matroneo ed
anche dalle aperture al piano terra, conferiscono particolare luminosità a tutto
l’interno.

Moschea blu
La Moschea blu è molto più bella dall’esterno, con l’infinità di cupole
che circondano quella centrale ed i ben cinque minareti a due o tre terrazze
che le fanno da corona e, come gendarmi, la proteggono. Essa è l’emblema
della Città e la domina. Non c’è veduta d’insieme o scorcio fotografico che
non riporti la sua inconfondibile struttura. In verità i tesori dell’interno, costituiti
dalle maioliche, dal cui colore la moschea prende il nome, sono poco visibili
al turista.



Moschea Blu, interno, cupola centrale


A proposito di fondamentalismo islamico, l’impressione che abbiamo
avuto, dopo aver visitato due paesi islamici: Egitto e Turchia, almeno
relativamente a quello che abbiamo visto, è che sono molto più frequentate,
per motivi di culto, le chiese cattoliche che le moschee.

Gran Bazar
Sabato mattina visita al Gran Bazar. Pare che sia uno dei centri
commerciali più grandi in assoluto con oltre 5000 stands. In effetti la struttura
originaria è essenzialmente una doppia galleria incrociata, con diramazioni
laterali, tutte coperte. Le strade di accesso inoltre ospitano molti altri negozi,
che gli fanno da anticipazione. La merce esposta è molto varia:
dall’abbigliamento per le danzatrici di danza del ventre ai lumi coloratissimi in
vetro (di cui mi sono pentito di non aver comprato un esemplare), ai prodotti
in oro, e logicamente ai tappeti. Il grosso è produzione caratteristica del luogo
e, in un’era di globalizzazione dei mercati, è quasi un miracolo che non sia
diffusa altrove. L’oro proverrà in parte dal Tarì, però i monili che abbiamo
preso per Marisa e Paola, sono fatti in stile orientale.



Gran Bazar, interno



Gran Bazar, lampadari in vendita


Al pomeriggio saliamo sulla torre Galata, sull’altro versante del Corno
d’Oro, per ammirare il panorama della Città. La torre fu costruita dai genovesi
nel ‘300 per il loro quartiere e successivamente utilizzata per scopi difensivi.
Oggi ospita due ristoranti ai piani alti. Dalla balconata stretta all’ultimo piano
si domina la Città. Da non perdere. Per varietà e bellezza sia della natura dei
luoghi che per le opere realizzate dall’uomo, è una veduta di città che non
invidia affatto quelle che si vedono dalla torre Eiffel o dal cupolone.
Scendiamo attraverso delle viuzze deserte fino al ponte omonimo. Qui
rimaniamo fino al tramonto a goderci la pesca miracolosa dei numerosi
pescatori dal ponte, il via vai incredibile di traghetti e imbarcazioni di ogni
misura e forma che fanno la spola tra le tre sponde, la tavolozza incredibile di
colori che il sole disegna sul mare, a mano a mano che si nasconde dietro la
città. Lo spettacolo va goduto dal piano inferiore, quasi sul pelo dell’acqua,
dove sono bar e ristoranti.


Il terzo continente

L’indomani mattina, domenica, prendiamo il taxi per visitare il ponte
sospeso sul Bosforo e raggiungere la costa asiatica, mettendo così piede sul
terzo continente, dopo Europa e Africa. Il ponte è gigantesco ma non bello;
ad una sola campata sorretta da due piloni. Sulla costa asiatica visitiamo il
palazzo Beylereyi, una residenza-museo, di metà ottocento, con un bel
giardino intorno, utilizzata nelle grandi occasioni e per ospitare personaggi
importanti. Al momento della nostra visita nel giardino c’era una festa di
matrimonio molto borghese. Peccato che il pilone del ponte, in costa asiatica,
cada proprio nel giardino della villa. L’interno è sfarzoso, con il primo
ambiente che porta al centro una vasca con fontana molto raffinata. Sono
splendidi anche i lampadari boemi di vari colori. Con noi c’era una famiglia
americana con ragazzi che con i loro videotelefonini riprendevano tutto,
anche il modestissimo gabinetto "turco" costituito da una semplice base in
pietra con un buco al centro. In tutto quello sfarzo era l’unica nota stonata e la
particolarità fu subito ripresa dai terribili ragazzi. Piccoli capolavori sono due
costruzioni gemelle, ma ben separate, poste nel giardino in riva al mare, che
fungevano da spogliatoi maschile e femminile, prima del bagno nel Bosforo.
Chi si bagnava spero dovesse ben sapere quello che sperimentò Mimi e cioè
che la corrente è fortissima e se sai nuotare come Sabino ti ritrovi in pochi
minuti nel mar di Marmara.



Giardino di palazzo Beylerey, festa in giardino, sullo sfondo il ponte sul Bosforo



Il taxi ci porta fino all’antica Scutari, di fronte al promontorio del centro
antico, oggi ancora quartiere di Istanbul. In epoca greca era definita città
d’oro per le ricchezze che accumulava con i pedaggi ai transiti marittimi sul
Bosforo. Non a caso il re Mida era di queste parti. In effetti pare sia molto più
antico l’insediamento in terra d’Asia, appunto dov’era Scutari. Lo sviluppo
dell’area dell’attuale centro antico di Istanbul pare fosse ostacolato
prevalentemente dalla difficoltà di approvvigionarsi di acqua dolce. Le cose
cambiarono con l’arrivo dei romani che realizzarono imponenti opere: cisterne
ed acquedotti (a noi familiari), di cui restano tracce, che consentirono a
Costantino di elevare la città posta in quell’area a capitale.
Interessante, ma non visitabile, è uno scoglio vicino alla costa asiatica,
all’imboccatura del mar di Marmara: la torre di Leandro, dalla quale la marina
turca controlla il traffico sul Bosforo.



Torre di Leandro


Al ritorno una passeggiata alla Istikal Caddesi, nei presi dell’albergo.
Pur essendo domenica i negozi sono tutti aperti e vendono merce europea
grandi firme. La strada è pedonale, al centro corre il binario di un tram antico,
credo risalente all’epoca della presenza inglese. L’ho filmato, è molto bellino.



Tram a Istical Caddesi


 
Giro in battello
Il pomeriggio ancora in piazza Sultanahmet, sulla quale affacciano sia
la Moschea Blu che Santa Sofia e che rappresenta il cuore dell’antica
Costantinopoli, e poi all’imbarcadero di Eminonu dove ci imbarchiamo su un
battello che fa il giro della costa. Costeggiamo prima il Beyoglu dal quale si
affacciano grandi e importanti dimore molte delle quali al momento
ospitavano feste di matrimonio o di altro genere. C’è anche la residenza
denominata Dolmabahce Saray, imponente edificio in stile neoclassico che è
stato l’ultima residenza degli imperatori ottomani. All’altezza del grande ponte
il battello si sposta sul versante asiatico e lo costeggia fin quasi alla torre di
Leandro. L’edilizia della zona, come già detto, non è molto interessante, a
parte alcuni Yali ben conservati. Gli Yali sono costruzioni eleganti nate fino
all’epoca Liberty, di cui poche sono in buono stato di conservazione. In
queste, si ripeteva la scena di tavoli apparecchiati, banchetti e
festeggiamenti. Al momento dell’approdo è sera e le moschee ed i loro
minareti vengono illuminati, spiccando sullo sfondo scuro della città, offrendo
uno spettacolo irripetibile, unico.
Si torna in albergo dove ceniamo, unici ospiti.
Abbiamo riempito i quattro giorni di permanenza di immagini e
sensazioni offerte da una città magnifica. Sono stati colti appieno il fascino
della porta d’Oriente e lo spessore bimillennario di una città che ha dominato
ad oriente ed in occidente. Abbiamo colto anche, più spesso nei giovani, una
forte attrazione per il modello di vita occidentale, contro la quale il
fondamentalismo islamico sta lottando.
Durante il volo di ritorno facciamo il conto di quello che non abbiamo
fatto o visto: i resti romani, le altre testimonianze bizantine e la Istanbul
notturna. Colpa del turismo fai da te, con il perenne timore di essere bidonati
e di non sapere dove dirigersi. La città infatti brulica di giovanotti che parlano
bene la tua lingua e che si offrono da accompagnatori per acquisti ed
escursioni. Questo è un pericolo da evitare.











































 

mercoledì 8 febbraio 2012





 Viaggio in Sicilia
21 – 28 giugno 2006




Premessa
Il viaggiatore che giunge in Sicilia in aereo, atterrando all’aeroporto di Palermo-Punta Raisi (oggi Falcone-Borsellino), per raggiungere il capoluogo percorre l’autostrada proveniente da Trapani. Entra dalla parte della città che ha avuto lo sviluppo urbano più recente e dove si sono trasferiti i palermitani del ceto medio e alto. L’autostrada è molto trafficata, fino a congestionarsi in alcune ore, anche a causa di continui lavori in corso. Essa è un’arteria vitale che si congiunge alla circonvallazione regionale di Palermo che supera direttamente la capitale, continuando, sempre a carattere autostradale, verso Cefalù. Il viaggiatore che dicevamo, giunto a pochi chilometri dalla capitale, nei pressi dello svincolo di Capaci, in una valle le cui pendici sono piene di villette che guardano il mare non molto lontano, incontra, sulla destra, una stele di granito rossiccio alta circa dieci metri. Ricorda l’attentato a Giovanni Falcone, a sua moglie e alla scorta. E’ un memento, un invito ad aprire gli occhi, a tener sempre presente, durante tutto il viaggio, che la Sicilia di oggi è anche questo. 
E quando il nostro viaggiatore, di ritorno dalle visite ed escursioni che avrà fatto in lungo e in largo, a ritroso nel tempo dall’epoca delle denominazioni borboniche, spagnole, svevo-angioine, normanne, bizantine, romane, cartaginesi, fenicie, greche, e ancora indietro fino ad incontrare, forse, le sole popolazioni autoctone, non soggette a dominazione di altri; 
quando si accingerà a lasciare questa terra che lo ha incantato con la sua conformazione a colline intervallate da valli piene di acqua e perciò lussureggianti; 
quando sarà rimasto abbagliato, attraversando colli e valli dell’interno, coltivate a frumento, dal giallo intenso delle spighe mature ondeggianti al tenue vento, in attesa di essere mietute, con qualche cardo qua che interrompe la monotonia di luce solare con l’azzurro intenso dei suoi fiori;
quando avrà lasciato le sterminate colture di agrumi che, insieme agli oleandri giganteschi e carichi di fiori, ai tigli, al mirto ed a tutte le altre essenze arboree, lo hanno stordito per il loro profumo intenso come non lo è in nessun’altra parte; 
quando avrà visitato il suo mare incontaminato e poco frequentato dai locali in questo periodo e non ancora dai villeggianti del continente; 
quando avrà osservato la perfetta tenuta di una rete stradale che viene migliorata così rapidamente che una carta stradale dell’anno scorso è già superata; 
quando, di ritorno all’aeroporto di Palermo (non è il nostro caso, ma abbiamo fatto il percorso nel senso inverso durante le nostre scorribande), il nostro viaggiatore penserà di essere stato inutilmente spaventato da quella stele, perché la Sicilia che ha visitato è pulita, ordinata, con i comuni completamente vuoti nelle ore lavorative, dove la presenza di manodopera extracomunitaria sembra inesistente e quindi l’economia, prevalentemente agricola, è gestita completamente da braccia siciliane;  sullo stesso luogo dell’andata, ma sull’altro versante dell’autostrada, ancora alla sua destra, incontrerà un’altra stele gemella a quella incontrata all’andata che ricorda che questa terra così bella e generosa, può dover far pagare ad un proprio funzionario, con l’unico torto di voler fare il proprio dovere, e non solo a lui, un tributo così alto.
Ma per fortuna il visitatore è sempre frettoloso e deve vedere il più possibile nel minor tempo possibile. In tal modo può gustarsi il bello della Sicilia, lasciando a chi di dovere la soluzione dei problemi accennati che, in verità, non sono appannaggio esclusivo di questa terra.
Il viaggio
Il carattere che abbiamo impresso al viaggio, frettoloso ed a tappe forzate, ha lasciato poco spazio alla ricerca, per uso fotografico, dell’inquadratura migliore; e poco spazio anche per le evocazioni storiche, da me tanto desiderate. Ma tant’è. Tranne pochi luoghi, non c’è area della Sicilia dove non possiamo dire di non essere stati, se si escludono l’ennese e la provincia di Caltanisetta (Taormina ed il messinese, con le perle di Milazzo e Tindari le avevamo visitate in un precedente, memorabile viaggio già oggetto di relativa nota). Oltre alla fotocamera digitale, adoperata prevalentemente da Marisa e alla videocamera, con la quale ho ripreso gli stessi luoghi fissati dalla fotocamera, questa volta ci siamo muniti di un altro strumento, utile per fissare le impressioni di viaggio: un taccuino. Questo però è subito finito in fondo ad una valigia ed è stato sostituito spesso con foglietti volanti che è stata un’impresa raccogliere e decifrare. Il viaggio doveva vedere quattro protagonisti, infatti era stato concertato con Mimi e Maria, che ne avevano anche fissato la durata: una settimana. Poi, la possibile concomitanza con la nascita del nipotino Francesco, che non c’è stata perché il giovanotto ha avuto la discrezione di nascere il giorno dopo il nostro rientro, ci ha fatto procedere da soli. Per ragioni legate all’efficienza della nostra Alfa 145, abbiamo scelto il sistema aereo
+ auto, già sperimentato con successo in Gran Bretagna, in Spagna e nelle scorribande
di freschi sposi per l’Europa.
L’itinerario, di massima, aveva dei paletti fissati da noi a tavolino e cioè: 
-tre pernottamenti a Palermo nell’albergo Athenaeum, già prenotato. Da questa località sarebbero partite escursioni: un pomeriggio a Cefalù, l’indomani un tappone a Selinunte, Marsala, Trapani, Erice;
-un pernottamento ad Agrigento, all’albergo Tre Torri, già prenotato, per via della coincidenza del sabato sera con la festa di San Giovanni; 
-due giorni liberi da passare nel ragusano e nel siracusano, dettagli non definiti;
-l’ultima notte a Catania, nell’Hotel Garden, già prenotato. La macchina sarebbe stata poi lasciata all’aeroporto di Catania, dove ci si sarebbe imbarcati per il ritorno.
Partenza
Uno dei motivi, oltre quello legato allo stato della nostra macchina, per cui non abbiamo optato per il traghetto, è stato quello della levataccia da fare all’arrivo a destinazione. Ebbene, con l’alternativa aerea, la levataccia l’abbiamo fatta ugualmente, e peggiore. Il giorno 21 giugno infatti, puntuale, sveglia alle 4,30, corsa a Capodichino al parcheggio per soste lunghe – per noi della provincia, molto più conveniente del taxi locale – imbarco alle sette. Sorvoliamo a bassa quota una Napoli ancora sonnolenta, bellissima, ma sono pochi attimi e la macchina fotografica è nel bagagliaio. Non sai mai in anticipo da che parte decollerà l’aereo e da quale parte ti troverai. Pazienza. All’aeroporto di Palermo troviamo ad attenderci una Nuova Punto 1.2 della Maggiore. Carta di credito e via sull’autostrada diretta verso la città.
21 giugno mattina
C’è molto traffico, per via di una deviazione per lavori, e per questo possiamo vedere la stele in memoria di Falcone. La sorpresa è che siamo praticamente in centro abitato anzi su un leggero declivio costellato di villette che guardano e sono guardate. Ma, allora, nessuno ha visto. Sulla tangenziale rischiamo di perderci tra le varie uscite, ma non succede e non succederà mai per tutto il viaggio, tranne ad Agrigento dove non riuscivamo ad incontrare il complesso monumentale più grande che abbiamo visitato: la Valle dei Templi. Ed anche a Catania, come vedremo. In effetti lo svincolo che ci interessa, Via Calatafimi, porta all’area dell’Università ed è anche, nell’altra direzione, la strada per Monreale. E poi, come vedremo subito, Palermo antica è molto piccola e ai Quattro Canti, crocevia fondamentale, ti ci ritrovi sempre, comunque.
Prima delle nove posiamo i bagagli in albergo. In effetti la signorina della reception ci fa osservare che è un po’ presto per consegnare la camera, ma è molto gentile e ci accontenta. La gentilezza delle persone è stata una rivelazione ed una costante di tutto il viaggio. Vedremo subito, proprio in quell’albergo, un semplice ma simpatico esempio. Ci rinfreschiamo e, subito in moto, verso Palermo? No, verso Monreale perché è più facile e non voglio cominciare il viaggio, le cui difficoltà un po’ mi spaventano, con una brutta figura. Anche perché Marisa si accorge sistematicamente, della strada da imboccare, puntualmente dopo che l’ho superata, dicendomi il classico: dove vai? Era dall’altra parte.


Monreale, Cristo Pantocratore
 Monreale.
Il Duomo è eccezionale sia l’esterno e soprattutto l’interno, con gli splendidi mosaici a fondo oro. E’ una tipica architettura nella quale confluiscono, come vedremo anche in seguito, elementi stilistici arabi, bizantini, romanici e normanni. Sullo sfondo dell’abside, campeggia un gigantesco mosaico, con sfondo in oro, raffigurante il Cristo Pantocratore, che significa benedicente, che vedremo anche in altre chiese famose, come la Cattedrale di Cefalù. Al di sotto la Madonna col Bambino, con la scritta Pantocantrans, che significa tutta santa. I dettagli sono ben scritti nelle guide. Incantevole il chiostro collegato che vediamo prima dall’alto, nella salita sulla cupola, e poi in basso. Le colonne binate sono tutte diverse e molte portano incastonati ornamenti di mosaico anch’essi tutti diversi tra loro. Il capolavoro è sull’angolo sud, credo, dove c’è una fontana con colonna libera contornata a sua volta da colonne binate dello stesso tipo di quelle del chiostro. Un quadrato nel quadrato. E le quattro colonne dello spigolo libero (gli altri, in effetti, fanno parte del chiostro) sono decorate con motivi floreali a rilievo. Un gioiello assoluto. Nella fontana riprendo con la videocamera, con molta fatica, due colombi che si dissetano. Sono così poche le cose che puoi riprendere in movimento e che giustificano il possesso della videocamera, che non potevo farmi sfuggire la scena, anche se alcuni sparutissimi turisti tedeschi me li hanno allontanati più volte. L’insistenza di riprendere la scena, in verità, deriva anche da reminiscenze di tale  rappresentazione sia negli affreschi pompeiani che nei mosaici del mausoleo di Galla Placidia a Ravenna. Credo che l’abbeverazione alla fontana corrisponda, nella simbologia cristiana, a  conoscenza del divino o cose del genere. Nel filmato ho ripreso ben tre colombi che si abbeveravano.



Monreale, fontana del chiostro, abbeverazione di colombi 



Monreale, chiostro, fontana, colonne dello spigolo 



Monreale, chiostro



Monreale, Campanile del Chiostro


La valle che si domina, la Conca d’Oro, spiega perché, come vedremo puntualmente,
tutta la Sicilia settentrionale e centrale è fertilissima, infatti la roccia calcarea delle
alture, ottimo serbatoio di acqua piovana, alimenta le valli con le acque sotterranee.
Oggi la Conca d’Oro è costellata di abitazioni a ville, uniformemente distribuite in
tutta la valle, ma è ancora tanto verde.
Spuntino veloce in camera in albergo, riposino e poi verso il centro.
21 giugno pomeriggio



Palermo, Cattedrale
 Palermo

Ad un napoletano sembrerà strano ma a Palermo, ed in tutta la Sicilia, non ci sono insuperabili problemi di parcheggio. Se giri un poco, il posto per la macchina lo trovi. Così, dopo aver seguito i primi inviti di Marisa a lasciare prima la macchina e poi cercare il luogo di destinazione, sottoponendoti, con quella calura, a scarpinetti che ti spezzano le gambe, ho capito la situazione ed ho sempre sostato sotto il monumento da visitare, a costo di ostacolare le mie stesse riprese. Lasciamo l’auto nei pressi di Porta Nuova, uno dei principali accessi alla città, anche monumento, che i palermitani però non conoscono con questo nome e visitiamo la Cattedrale e poi percorriamo  Corso Vittorio Emanuele fino ai Quattro Canti.


Palermo, i Quattro Canti



Palermo, i Quattro Canti 2
La Cattedrale, più di Monreale, presenta tutti gli stili architettonici passati per la città nelle sue stagioni, e sono molto evidenti. E’ gigantesca ed è facile riconoscere, da colonnine che reggono archi ciechi a sesto acuto, da merlature, dal portico che precede l’ingresso sulla piazza e da altri elementi architettonici, gli interventi eseguiti nelle varie epoche. Racchiude le tombe dei principali artefici dell’arte e della cultura meridionale: Federico II e sua moglie Costanza, l’imperatrice Costanza, Ruggero II ecc. Percorriamo Corso Vittorio Emanuele, incontrando la Chiesa del SS Salvatore, riccamente adornata all’interno, con puttini in marmo bianco, emergenti da tarsie policrome, sempre in marmo. Una squisitezza

Palermo, San Salvatore, puttini



La strada però, costituita da edifici nobiliari storici, ci da un senso di abbandono. Molti locali a piano terra chiusi da sempre, edifici  sventrati dalle bombe dell’ultima guerra e cadenti, il segno degli effetti della guerra. Un negoziante dice che i locali non aprono per mancanza di affari. Il tratto più centrale di Palermo è in abbandono e nessuno interviene. Questo si sapeva, ma visto da vicino, è uno scandalo. Problemi di finanziamento pubblico? Perché quegli edifici vanno restaurati e nessun privato può accollarsi la spesa? Peccato. Ai Quattro Canti cambia la situazione: continuando si va verso il mare; a destra c’è il Municipio; a sinistra comincia la parte più recente e borghese della città con i due teatri il Politeama e il Massimo.
Qui i miei appunti mi ricordano una cosa che mi ha colpito subito e che voglio riferire, anche perché vale per tutta la Sicilia: le ragazze sono molto carine, diciamo di standard abbastanza elevato e soprattutto di peso forma perfetto. L’obesità, questa patologia da Kinder Più, non ha ancora colpito l’isola. E’ una delizia guardarle, non ci siamo più abituati. Ricordo vent’anni fa, quando avevamo appena iniziato la nostra attività nell’USL, dalla finestra di Via S. Giacomo dei Capri, alle otto e mezza del mattino, vedevamo la sfilata di 13-18enni che andavano al De Nicola, poco più avanti. Era una delizia a primavera inoltrata, anche se non era stata ancora lanciata la moda dell’ombelico in mostra. Oggi è una tristezza. Ebbene, in tutta la Sicilia i Kinder Più sono banditi, per la delizia dei maschietti. A piazza Marina vi è un giardino con giganteschi esemplari di Ficus Magnolides che cacciano le radici, prima aeree, dai rami orizzontali e, quando raggiungono la terra, radicano e diventano tronchi. Ogni albero perciò è una selva di tronchi. Penso che a Napoli, e non solo, quelle radici non raggiungerebbero il suolo neanche se ci impiegassero soltanto una notte per fare quel percorso.



Palermo, Piazza Marina, Ficus Magnolides


Cena in albergo, stanchissimi, come le sere successive a Palermo. Una mezza cosa. Marisa è insoddisfatta. Io sono soddisfatto per lo stesso motivo per il quale lei è insoddisfatta, nel senso che non mi servono cibi a base di melanzane ed intingoli tipici, pesanti da digerire. Il divieto di fumare crea inaspettate opportunità di conoscenza, così, dopo cena, ci ritroviamo, fuori dall’albergo, la signorina della reception, alcuni napoletani e alcuni romani, accomunati dal decreto
Sirchia. Si familiarizza con le solite battute di stampo campanilistico. Qui e, come vedremo anche altrove, le presenze negli alberghi a tre e quattro stelle sono prevalentemente di lavoratori, giunti in Sicilia per offrire le loro competenze nei campi più svariati. Turisti, ovunque, molto pochi.
22 giugno mattina
Ci rechiamo al complesso denominato Palazzo dei Normanni, sede dell’Assemblea Siciliana e, anche in passato, sempre sede del potere, diretto o di funzioni vicarie, dell’isola. E’ chiuso perché ci sono state le elezioni da poco e la nuova assemblea non si
è ancora riunita. Un motivo valido per offrirlo alla visita dei curiosi, visto che è vuota.
No.
Visitiamo la Cappella Palatina, che in effetti fa parte del complesso, adornata di
splendidi mosaici. Un piccolo gioiello. Mi ha colpito un capitello rosso, una tarsia in
marmo, che attualmente uso come sfondo del desktop del pc e come icona di testa di
queste brevi note.
 Un’infinità di intarsi in marmo con motivi geometrici, su tutta la superficie, impreziosisce le pareti dell’interno.

Palermo, Cappella Palatina, ingresso





Palermo, cappella Palatina, decorazione esterna





Palermo, Cappella Palatina, tarsie 1


Palermo, Cappella Palatina, tarsie 2


Palermo, Cappella Palatina, tarsie 3




Palermo, Cappella Palatina, tarsie 4




Palermo, Cappella Palatina, acquasantiera


Poco lontano visitiamo San Giovanni degli Eremiti, piccolo complesso di origine araba con le tipiche tre cupole dipinte di rosso. L’interno è spoglio e in ristrutturazione.


Palermo, San Giovanni degli Eremiti

Si passa davanti al Municipio con la bellissima Fontana Pretoria sulla piazza antistante, ricca di statue di marmo, recentemente restaurata.
Passiamo davanti a San Cataldo, con la struttura arabo-normanna con le tre cupole molto alte e le finestre inserite in altissime cornici ogivali, 



Palermo, San Cataldo 1







Palermo, San Cataldo 2




Palermo, fontana Pretoria sullo sfondo Santa Caterina




                 poi andiamo a piedi al vicino museo di Abatellis, ospitato in un edificio rinascimentale con forti richiami gotici e catalani.

Palermo, palazzo Abatellis, portale




Colpiscono, nell’atrio, le esilissime colonne delle trifore. Ospita la Galleria Regionale con opere su tavola molto pregiate; il busto di Eleonora d’Aragona di Laurana,
l’affresco il Trionfo della Morte, sculture lignee di Domenico Gagini, rappresentanti la Madonna con Bambino. Colpiscono, di questo scultore locale, la bellezza dei tratti ed il colore bianco dei visi e delle vesti, che sono ornate di oro e, ricordo, una con un risvolto di sottoveste azzurro che fa capolino intorno ad un ampio decolletè. Splendide. Gli occhi sono nerissimi ed espressivi.


Palermo, palazzo Abatellis, Madonna del Gangini


Palermo, palazzo Abatellis, Annunciazione



Palermo, palazzo Abatellis,  arabesco ligneo


Palermo, palazzo Abatellis, Eleonora d'Aragona del Laurana

In verità ci dovrebbero essere tre opere di Antonello da Messina tra cui l’Annunziata, che ho desiderato vedere da decenni, ma era in vacanza a Roma alle Scuderie del Quirinale, con un’altra opera dello stesso Antonello, che di solito è ospitata nelle Gallerie regionali di Siracusa. Torneranno in sede il 27 giugno, appena in tempo per non vederle. Peccato. Uno dei punti di grande interesse del nostro viaggio, dal punto di vista museale, era la possibilità di vedere le madonne di questo pittore che le rappresenta così calde, sensuali, meridionali. Sarà per un’altra volta.
A Piazza Marina scopriamo i citati Ficus Magnolides. E’ incredibile che simili giganti,
così delicati nella fase di formazione di nuove radici, possano vegetare indisturbati in
piena città.
Facciamo un giro per la Palermo moderna, con i teatri Massimo e Politeama, le edicole
Liberty, i bei negozi che trovi in ogni parte del mondo.



Palermo, teatro Massimo




Palermo, edicola Liberty 1


Palermo, edicola Liberty 2

 
22 giugno pomeriggio
Escursione a Cefalù. Viaggio in autostrada, quella inaugurata da Berlusconi. Pochissimo traffico. Forse perché si paga mezzo Euro?  Da lontano improvvisamente ti appare Cefalù, incastonata sotto un promontorio, che si spinge in un’ansa del mare sulla sabbia bianca e finissima. Piccola cittadina con il nucleo antico stretto intorno alla gigantesca Cattedrale che sovrasta tutto, troppo grande per lei.


Cefalù panorama

 Cefalù

La cittadina, con chiara vocazione balneare, ospita più villeggianti locali e stranieri di quanti ne abbiamo incontrato in tutta la Sicilia, ma erano comunque non molti. L’interno della cattedrale è spoglio ed austero tranne la parte absidale che è riccamente adornata, con un Cristo Pantocratore che domina il fondo, ad imitazione di Monreale. La Cattedrale domina tutta la cittadina e ne è la protettrice, anche sotto il profilo urbanistico. Un’attrazione per turisti è il cosiddetto lavatoio, costituito da una serie di vasche scavate nella pietra, in pieno centro, dove una volta le donne lavavano la biancheria. L’acqua, freschissima, che finisce la sua corsa nel mare vicino, è assicurata da una sorgente alimentata dalle acque del promontorio. Questa è la conferma che la natura calcarea delle rocce, in tutta la Sicilia, le rende dei formidabili serbatoi di acqua, preziosa nella stagione calda.


Cefalù, cattedrale






Cefalù, cattedrale, acquasantiera con leone

23 giugno intera giornata
Tappone di 350 chilometri lungo tutta la costa occidentale.
Gli intenti sono pretenziosi ma i risultati del giro rispettano la tabella di marcia che ci
eravamo dati, come vedremo. Però, inevitabilmente, le troppe cose saranno viste a volo
d’uccello. Ma tanto basta. Andiamo con ordine.



Selinunte, Tempio F

Selinunte,Tempio C


Selinunte Rifacciamo, nell’altro senso, l’autostrada per l’aeroporto che, all’altezza di Alcamo, si biforca, da una parte verso Trapani, che percorreremo al ritorno, e dall’altra verso Marsala. Prendiamo questa e, all’altezza di Castelvetrano, usciamo dall’autostrada e proseguiamo sulla nazionale per Selinunte. Le guide dicono che “l’acropoli sorge su una collina di forma irregolare leggermente inclinata verso il mare, che domina per un lungo tratto la costa di un ambiente tra i più suggestivi dell’intera Sicilia mediterranea”. Visitiamo perciò i templi dell’acropoli e scopriamo che il Tempio C, il più antico, l’unico a pochi passi dal mare e di cui rimane in sede un colonnato laterale (tutti i templi sono rivolti ad oriente e quindi offrono il lato destro al mare), non domina il mare, come dice la guida, perché nel frattempo, molto recentemente, sono stai costruiti due edifici, uno, la casa del viandante e l’altro, non so cosa, che si frappongono tra tempio e mare rompendo irrimediabilmente l’incanto della veduta del mare d’Africa dall’acropoli. Per il resto, ammassi di pietre informi che turisticamente non dicono niente. Le guide dicono che negli anni ’20 sono state ricostruite alcune colonne insieme a parte dell’architrave. Alcune metope della fronte, sopravvissute, sono esposte al museo archeologico di Palermo.  A questo punto ci sono da fare due considerazioni: l’una che la natura sismica dei luoghi non consente la conservazione in buono stato di tali monumenti che hanno oltre 2500 anni, ma anche di quelli barocchi, come vedremo. Con l’aggravante, per entrambi i tipi, che il materiale con cui sono edificati non ha una grande consistenza e si sfalda inesorabilmente alle intemperie. A questo proposito, lo stesso problema è presente in forma ancora più evidente nella Valle dei Templi, le cui briciole mi hanno ispirato un divagazione sulla metempsicosi, di cui parlerò dopo. Tutto questo degrado è naturale e inevitabile e si può solo correre ai ripari, magari con un po’ di prevenzione in più,  (vedi Cattedrale di Noto). L’altro aspetto è questo: perché un turista deve fare qualche migliaio di chilometri per vedere quattro pietre informi che non guardano il mare e della cui provenienza deve leggere sulle guide altrimenti non ci capisce niente? E’ blasfemo parlare di ripristino, ove possibile, dei monumenti anche per parti purché significative? A Cnosso l’hanno fatto, esagerando un pochino, e la gente vi accorre da ogni parte del mondo e se ne torna a casa avendo avuto cognizione, vaga quanto vuoi, del significato e delle peculiarità di quei luoghi, fondamentali per comprendere, non dico le origini della nostra civiltà (la cui origine si spalma a ritroso nel tempo), ma certamente di una parte considerevole della mitologia greca. E sappiamo che la mitologia greca dice, di quella civiltà, più di quanto non racconti un trattato di storia. I ruderi ricomposti di Cnosso ci raccontano infatti degli abitanti e della vita dei cretesi che vi si svolgeva. A Selinunte e, come vedremo senza retorica, anche nella Valle dei Templi, il grosso è solo un ammasso di pietre informi che, ripeto fino alla noia, non guardano neanche più il mare. Per fortuna, già prima della parziale ricostruzione del tempio C, nei primi del ‘900, il tempio E, ad oriente, era stato in parte rimesso in piedi. Così la suggestione di questi giganti solitari, abbastanza lontani tra loro, svettanti sulle alture di una campagna inondata di sole, è immensa e struggente. Le guide non lo dicono, ma, a causa della estrema vicinanza dell’area archeologica di Selinunte alla Valle del Belice, è da ritenere che qualche colonna, con quel terremoto, sia caduta. Con i nuovi orientamenti dell’archeologia, sulle spinte ecologiste di rispetto integrale anche dei segni del tempo, non mi stupirebbe sapere che non si è fatto nulla per ripristinare i luoghi. Di questo passo si finisce col perdere prima l’interesse e poi la memoria dei luoghi. D’altro canto alla cattedrale di Noto sono dovuti intervenire, ed in modo pesante, per ricostruire parte della cupola ed il soffitto della navata centrale, dopo la rovinosa caduta che pure era stata preceduta da segnali disperati lanciati dalle enormi crepe che hanno segnato la struttura per anni. L’unica cosa carina che l’organizzazione dell’area archeologica di Selinunte ha fatto è mettere a disposizione dei trenini elettrici, tipo quelli per che si usano per portare a spasso i bambini, che ci ha portato dal parcheggio auto ai luoghi da visitare. Almeno ti risparmi il chiodo solare che, invece, non puoi evitare ad Agrigento. La campagna è bellissima in primavera, come in tutta la Sicilia occidentale e meridionale, del resto. Immensi campi di frumento di un biondo accecante, solare,  intervallati, con geometrie regolari, a vigneti verdissimi.  E questi splendidi mammut di pietra sono immersi in questa luce.


Marsala, saline, mulino a vento
Marsala. E’ un paesone con case basse disposte in modo regolare. Compriamo, per pochi Euro, un boccione di Nero d’Avola, che ci farà compagnia durante tutto il viaggio e, come vedremo, ci darà qualche problema all’imbarco. Compriamo anche alcuni vini da dessert ai vari gusti, tipici del luogo. Comunque, Marsala è il più importante centro vinicolo della Sicilia. Il vino è buonissimo ovunque. Ho bevuto sempre vino sfuso in tutta l’isola, e l’ho trovato sempre eccezionale. Ci fermiamo in riva al mare per uno spuntino e, su un prato a ridosso della spiaggia, raccolgo una piantina spontanea strisciante, con un morso di radice, simile alle campanelle nostrane, più piccole, ed anche lei ci farà compagnia durante tutto il resto del viaggio e la sua cura ci costringerà a trovare sempre posti riparati per la macchina, altrimenti cocerebbe ai 60 e più gradi che si raggiungono nella vettura ferma al sole. Lungo la strada per Trapani, scorrevolissima, vediamo le saline ora dismesse e tenute in piedi come attrattiva turistica, con i mulini a vento di nordica memoria. Sono più belle quelle di Margherita di Savoia, più grandi e ancora produttive, ma il paesaggio qui, specie presso Trapani, è più suggestivo.
Trapani, panorama con Favignana e Marettimo sullo sfondo
Trapani. Un paesone anch’essa, in piano, come Marsala, del resto, ha un bel centro antico che non abbiamo potuto fotografare. E’ molto ariosa ed ha un lungomare molto lungo ed ampio, il più bello di quelli visitati in Sicilia. La città ha come margine nord un promontorio molto ripido. In cima c’è Erice.
Erice, chiesa madre
EriceSi sale sull’altissimo promontorio a ridosso della città, sul quale è la cittadina antica. Sono sei chilometri di tornanti dolomitici, dai quali vedi, in fondo, Trapani allontanarsi man mano che sali mentre il mare si tinge della luce dorata del sole del pomeriggio. In verità la giornata, dal punto di vista fotografico, non è delle migliori, c’è foschia, ma lo scenario è superbo. Erice ha strade lastricate in pietra chiara e la facciata della Chiesa Madre, subito dopo la porta di accesso, della stessa pietra luminosa. Ha begli edifici barocchi o arricchiti di decorazioni tipiche di quello stile. Ma hai l’impressione che non sia abitata. E’ come Venezia, apre solo quando arrivano i turisti. Del resto, per qualunque esigenza, devi fare uno scarpinetto di 6-8 chilometri, a seconda del versante che affronti, con tornanti quasi dolomitici, specie dal versante sud verso Trapani. Negozi di gadgets per turisti e poc’altro. Però è molto caratteristica e domina sia Trapani che la baia a nord, con panorami incantevoli.  Fa bene Zichichi a riunire ciclicamente qui le migliori menti mondiali di fisica quantistica. 
Erice, balcone barocco
Scendiamo dal versante di nord-est per riprendere l’autostrada che ci porterà ancora a Palermo. Marisa osserva che cani di strada, in libertà, a Palermo e Cefalù non ce ne sono, mentre qui, nel trapanese, compresa Marsala, ce ne sono abbastanza.
Segesta, tempio
Segesta Arriviamo a Segesta alle sette, quando i cancelli dell’area archeologica stanno chiudendo. Niente Segesta. La campagna, su tutta la zona nord è bellissima: alture fino a 4-500 metri e forse oltre, di roccia carsica, perciò piena di anfratti, intervallate da ampie pianure fertilissime, e ancora il biondo luminoso del frumento che attende, ove non ancora avvenuto, di essere mietuto.
Segesta, campagna
Fotografiamo anche la montagna-covo del bandito Giuliano … Ritorno ancora a Palermo, per l’ultimo pernottamento programmato e prepagato all’agenzia. E veniamo all’episodio che sottolinea la gentilezza dei siciliani. E’ una sciocchezza, ma ti rimane impressa, come, in negativo, lo scippo di un orologio a Napoli. Marisa, la sera precedente, si era lamentata, con il capo sala, al ristorante, per non aver assaggiato ancora un cannolo, non avendo, tra l’altro, indicazioni di buone pasticcerie. Il maitre disse che all’indomani le avrebbe fatto trovare un cannolo di una delle migliori pasticcerie di Palermo. Così, a fine cena dell’ultima serata palermitana, mentre io ordinavo per i simpatici vicini di tavolo napoletani, ormai anche compagni di sigaretta, un limoncello, trasformato in grappa perché lì il limoncello non si usa, il maitre confabulò con i nostri vicini e ci portò due cannoli che si era ricordato di comprare e che i nostri vicini si offersero di pagare. Piccolo pensiero che dispone bene il turista.
Considerazioni molto personali su Palermo
Palermo si distende lungo una piana alla fine della Conca d’Oro e non vede il proprio mare. Lo incontri quasi per caso alla fine del corso Vittorio Emanuele. Il panorama non è una risorsa come a Napoli. Le manca il punto dal quale si possa abbracciare la Città, la veduta d’assieme. In assoluto direi che, dal punto di vista urbanistico, non è una bella città. Roma, per esempio, non ha il mare ma ha i sette colli dalla cima dei quali puoi goderti altrettante vedute della città. Napoli si abbraccia dal Vomero,  Posillipo, Capodimonte, Capodichino. Parigi offre stupendi panorami dalla Tour Eiffel, dal Sacre Coeur e dagli altri edifici alti. Milano ha quantomeno il Pirellone. Palermo è assolutamente piatta. La parte che interessa il turista è limitata ai monumenti storici, molti visitati da noi, dall’orto botanico e dal mercato di Ballarò. Qui, come a Forcella, conviene andare in gruppo. Dal punto di vista architettonico perciò il turista può godersi i singoli monumenti, vere testimonianze delle varie epoche che si sovrappongono ed integrano nelle architetture che, da questo punto di vista, sono dei libri aperti di storia della Città e dell’isola, ma non l’abbracci, non la domini. Manca o è poco presente o in rovina il barocco che invece, come vedremo, trionfa nel sud-est dell’isola. Ma questo è nato come esigenza di ricostruzione post-terremoto del 1693, che per fortuna non ha colpito Palermo. I confronti sono sbagliati ma, da un punto di vista urbanistico, l’orografia è fondamentale e una città che si sviluppa in piano deve mettercela tutta per apparire bella e poi il centro storico, dove sono gli edifici più caratteristici, è, come abbiamo detto, abbastanza malandato. Come vedremo più in avanti, piccoli centri del ragusano e dell’agrigentino sono splendidi, non solo per l’architettura barocca, ma anche perché, posti su alture e sulle loro pendici, si dispiegano scenograficamente dando bei colpi d’occhio, come accade anche nei piccoli centri medioevali dell’Italia centrale che sono bellissimi anche se di architettura più povera.
24 giugno mattina


Agrigento, tempio della Concordia
Agrigento Si vola verso Agrigento sulla nazionale che taglia la Sicilia da nord a sud. Strada scorrevolissima e tenuta ottimamente, come tutte le strade dell’isola. Da ora, fino alle porte di Catania percorreremo solo strade statali e provinciali. L’autostrada Catania -Gela, dove proprio in questi giorni c’è stato un incidente sul lavoro, è a buon punto, ma non ancora percorribile, se non nel tratto vicino a Catania. La campagna è quella descritta in precedenza, solo che tende ad inaridirsi leggermente man mano che si va verso sud. Niente di incolto. La stessa luminosità delle pendici dei monti conferita dai campi di frumento.  Anche perché su questo versante sfociano buona parte dei fiumi che nascono nell’interno, per esempio nell’ennese. Agrigento ci appare come un enorme muro di case che, dalle alture del nucleo originario, scende con case sempre più recenti, alte, ingombranti e moderne, verso la Valle dei Templi, e dominano i monumenti e, secondo me, soprattutto, il mare in fondo, anche se abbastanza lontano. Sembrerà strano, ma il dedalo di strade di accesso, principalmente verso Porto Empedocle, sbocco a mare di Agrigento, ci fa perdere, per molto tempo, la vista della famosa Valle. Colazione e piccolo riposino all’Hotel Tre Torri, prenotato a Napoli dall’agenzia, perché è sabato sera e temiamo afflussi turistici, che non ci saranno.
Agrigento, centro antico, portali in pietra
        
24 giugno pomeriggio


Valle dei templi, ulivo
Valle dei Templi
Visita ai Templi. Prima si fa una puntatina ad Agrigento antica dove si scopre che la pietra locale, di cui sono ornati gli edifici più antichi, è di un colore rossiccio, molto caratteristico ed intrigante. E’ la pietra dei Templi, anzi, come vedremo, ha consistenza tufacea. Questo è stato fatale per la tenuta degli stessi sia rispetto ai terremoti che alle ingiurie meteorologiche.  Sono le 4,30 e due signori già da tempo non più di tenera età, si incamminano, con biglietto omaggio della sovrintendenza alle antichità, come è avvenuto ed avverrà per tutte le visite in siti archeologici e nelle gallerie museali, lungo i luoghi più significativi e rappresentativi della storia del Mediterraneo, sotto una calura impossibile che ti spezza le gambe, in un’ora solitamente dedicata al pisolino. Unico riparo due cappellini gemelli provvidenziali portati da Ischia. Rimpiangiamo subito perciò il trenino di Selinunte e proseguiamo a piedi. 
I Templi sono lontani tra loro e tutti in restauro. Visitiamo quello più vicino e meglio conservato, il Tempio della Concordia, in rigoroso stile dorico. Foto e riparo sotto enormi ulivi che provvidenzialmente si incontrano lungo il tragitto. Ci sono anche mandorli carichi di frutti e, ovviamente, carrubi. Visitiamo altri ruderi del complesso, ma sono informi e, quello che impressiona, è una statua maschile, un gigantesco telamone, caduta intera, ma che ha assunto l’aspetto dell’uomo della Michelin, a salsicciotti, perché consumato ai bordi dei vari blocchi che lo compongono, dagli agenti atmosferici.
Agrigento, Valle dei templi, Telamone
Te ne accorgi anche per la presenza, dovunque nell’area, di una specie di polvere tipo
semola o meglio cus cus a grana grossa. Sono i resti dei Templi, di oltre 2500 anni fa, che si sfaldano inesorabilmente e fanno una gran pena. Si è salvato dal disfacimento quasi totale solo il Tempio della Concordia, da noi visitato, perché riciclato dalla Chiesa a luogo di culto. Ancora una volta la Chiesa si è rivelata grande custode delle testimonianze antiche, tramite il riutilizzo di questi splendidi giganti di pietra. Così è stato innalzato un muro nello spazio interno che l’ha protetto dai terremoti mentre la manutenzione delle colonne le ha in parte protette dall’usura meteorologica. La veduta d’assieme dell’area è impressionante anche se hai la sensazione di un accerchiamento asfissiante da parte della nuova realtà. Credo che sia un male difficilmente contenibile. Alla fine si vedrà la lunga altura, sulla quale sono disposti i Templi, completamente circondata da case moderne. Cerchiamo un po’ di terra per la nostra piantina, tenuta finora in acqua, e ci accorgiamo che, non volendo, stiamo attuando il processo della metempsicosi di pitagorica memoria. In sostanza nutriamo, favoriamo la nuova vita della pianta, con i resti, le ossa degli antichi monumenti che fanno da sostegno e nutrimento per la nostra modestissima piantina. Che impressione e che emozione, calarsi nella storia e nella filosofia antica. Così quelle antiche illustri pietre ritornano a svolgere una funzione alimentando una piantina che radicherà ad Ischia. E pensare che la teoria della reincarnazione, tipicamente filosofica, trova conferma piena nella chimica moderna che, individuando negli atomi e nelle molecole i costituenti la materia, non esclude affatto, anzi da per scontato il riutilizzo, il riciclo, detto in termini ecologistici, dei componenti fondamentali. Geniali intuizioni quelle dei greci. Tremo e sono emozionato al pensiero che un giorno, tornando ad Ischia dopo un inverno lungo e piovoso, possa trovare un tempio dorico, dedicato ad Apollo, nel mio giardino. Mi piacerebbe, ma penso che mi andrebbe stretto. Non visitiamo gli altri templi perché molto lontani, molto mal messi e in restauro, come del resto anche quello visitato, e perché fa un gran caldo.
Questi colossi di pietra disseminati in tutto il Mediterraneo dall’Asia Minore alla Magna Grecia, alla Sicilia, alla Campania, simili tra loro, anche se profondamente provati dall’ingiuria del tempo, sono lì a testimoniare le origini e la diffusione della nostra civiltà in tutta l’area del bacino del Mediterraneo e ci ricordano che tutto quello che pensiamo o facciamo noi in campo filosofico, matematico, di geometria, artistico e nel campo della gestione della cosa pubblica, da qualche millennio a questa parte e di cui riempiamo volumi e intere biblioteche, l’avevano pensato e realizzato già loro, in forma più semplice e più compiuta. E’ sabato e si festeggia San Giovanni. La festività è molto sentita sull’isola. Sarà per questo, o perché anche qui scatta la febbre del sabato sera, sta di fatto che al tramonto, mentre noi ceniamo al ristorante Kokalòs, con splendida vista su tutta la Valle, ma dall’altra parte di Agrigento, che pertanto fa da sfondo alle sagome dei templi illuminati, vediamo un via vai di auto su tutte le strade dell’area ed i ristoranti sono particolarmente affollati. Cena sopraffina, da raccomandare. Del resto eravamo stati espressamente e caldamente indirizzati dall’agenzia Aladino Viaggi. Di qui, oltre a cenare divinamente, si gode il miglior colpo d’occhio globale di tutta la Valle dei Templi, compresa Agrigento.


Agrigento, tempio della Concordia e Città visti dal Kokalòs

25 giugno mattina
L’itinerario prevede un giro nel ragusano con pernottamento a Ragusa. Però, essendo domenica e dovendo fare degli acquisti di regalini di ceramica di Caltagirone, puntiamo prima verso questa cittadina, poi saliamo a Piazza Armerina, per ridiscendere ancora, ma verso Ragusa. Un appunto di Marisa dice: Sabino si è tolto i calzini. Sic! E’ un record personale che sono venuto apposta in Sicilia per batterlo. Quello che stiamo per visitare, compreso il siracusano, è il tratto più raffinato ed esclusivo dell’intero giro. Tutta l’area, compresa Siracusa e Catania, è stata soggetta ad un terremoto devastante, nel 1693, che ha costretto i governanti dell’epoca e i possidenti delle varie zone, ad un gigantesco sforzo edilizio per la ricostruzione di intere città e cittadine. Un pò come Scampia del dopo terremoto o Monterusciello del dopo bradisismo, ma con esiti estetici, urbanistici e di vivibilità completamente diversi. Qui si sono espresse e brillato intelligenze nel campo dell’architettura e dell’urbanistica di prim’ordine, in una gara incredibile basata, per quanto ne risulta, sulla creatività e sul buon gusto, così, oltre ai centri storici delle città più grandi, Siracusa e Catania, i piccoli centri, Modica in primis, e poi Noto, Caltagirone, ma anche altri centri dell’area da noi non visitati, esprimono al meglio l’armonia tra le esigenze architettoniche dei singoli edifici e l’inserimento degli stessi nel contesto territoriale quasi sempre posizionato in cima ad alture che degradano rapidamente in valli strette. Così dall’altro lato, sull’altro versante della valle, puoi godere gli effetti scenografici delle realizzazioni urbanistiche tendenti a valorizzare i singoli monumenti costruiti.   Il percorso è tra i più temuti da noi perché si sviluppa soltanto su strade nazionali e provinciali. La sorpresa piacevole, come già accennato per altri itinerari, è che la rete stradale statale e provinciale è di ottimo livello, poco trafficata, tranne in prossimità dei grandi centri urbani e con fondo stradale perfetto: non una buca in tutta la Sicilia. Procediamo in sostanza parallelamente alla linea di costa che, a tratti, costeggiamo. La campagna è diversa: interminabili aree con coltivazione a serre che da lontano sembrano mare. D’altro canto l’andamento altimetrico è meno accentuato che nel zcentro e al nord dell’isola. Però qui sboccano a mare i fiumi delle alture dell’ennese (Enna capoluogo di provincia più alto d’Italia).



Caltegirone, Cattedrale





Caltagirone. Incontriamo il primo barocco isolano post terremoto del 1693. La cattedrale è molto bella ed anche la cittadina, aggrappata ad un’altura. Troviamo, con sorpresa, che l’edificio delle poste è di un elegante stile Liberty.


Caltagirone, Palazzi delle poste Liberty


Andiamo in un negozio di ceramiche e facciamo alcuni acquisti. Poi scopriremo che le più belle ceramiche di Caltagirone si vendono a Catania, a destra della Cattedrale. Inoltre, che se vuoi comprare della ceramica, devi prendere quella caratteristica della tradizione locale, di colori intensi, specie il blu, il giallo e il verde con disegni a volute floreali. Oggi è in atto un tentativo di modernizzazione che trovo molto pericoloso perché la figura di un limone è tipicamente vietrese o ischitana, dove è fatta meglio e con colori più vivi. Inoltre, c’è il sospetto da parte dell’acquirente,che tutto provenga dalla Cina. E questo dovrebbe consigliare, a questi artigiani che vogliono conservare un’identità, di stampigliare anche sui lavori più minuti, la provenienza del manufatto. Francamente, per alcune cosine comprate, qualche dubbio sulla provenienza può esserci. Comunque, così come ho fatto ad Istanbul, ho comprato per me, da tenere sempre in vista sul computer, il mio angolo di mondo, alcune tessere che riproducono temi floreali o geometrici, nella più pura tradizione araba e normanna. A proposito, è incredibile che in una casa doppia di oltre 240 metri quadri, per un componente della famiglia siano riservati solo un paio di metri quadri nella stanza più angusta, con il vicino che, volendo ti guarda in bocca – per fortuna il vicino è più riservato di noi e tiene sempre chiuse le tapparelle che vengono alzate solo dalla donna delle pulizie, l’unica che si gode la casa -. Ma non è che la mia famiglia ce l’ha con me e si è accaparrato gli spazi migliori prima che andassi in pensione, perchè a Marisa non va meglio, avendo a disposizione una scrivania nell’altra casa, ormai di Paola, nella stanza più brutta e remota. Di questo passo, credo che il pc portatile, con il quale il mio angolo di mondo si è ridotto alle dimensioni di un vassoio da prima colazione, mi restituirà in parte alle stanze migliori della casa ed alla compagnia, anche se distratta, di mia moglie. Per lo meno con il portatile il proprio angolo di mondo non è fisso, obbligato, anche si di dimensioni minime.
Mi scuso della divagazione e torno a Caltagirone. Qui mi scordo di cercare la scalinata con le alzate tutte di ceramiche di diversi disegni e Marisa adesso mi dice che lei l’ha vista, facendomi arrabbiare due volte. Ai vecchi rimbambiti come noi, succede.


Piazza Armerina, panorama

Piazza Armerina. La cittadina è aggrappata ad un costone di roccia, come molti centri nella zona. La Villa del Casale dista un paio di chilometri e, se non ci fosse stata, questa bella cittadina barocca sarebbe ignorata dal mondo e vedrebbe solo un turista che ha sbagliato strada. Insomma ti ci devi recare appositamente. E ne vale la pena. Colazione al bar davanti alla cattedrale,logicamente barocca. Una delle peculiarità del barocco siciliano è che le lesene e, talvolta, anche le colonne dei portali, portano incisi splendidi arabeschi, qualcuno ripreso da me. A volte, come appunto a Piazza Armerina e al Duomo di Siracusa, le colonne sono tortili, con incisi rampicanti che le avvolgono.
La ragazza del bar ci dice che sta frequentando la facoltà di operatore turistico, che
è lì, come sede distaccata dell’Università di Enna.
Piazza Armerina, Cattedrale, particolare della facciata



Piazza Armerina, Villa del Casale, scena di pesca



Piazza Armerina, Villa del Casale, scena erotica


Piazza Armerina, Villa del Casale, Polifemo



Villa del Casale.  Era di un ricco proprietario terriero che probabilmente faceva anche commercio di animali selvatici dall’Africa. E gli fruttava tanto bene che si permise questa dimora sontuosa con annesse terme e sistema di trasporto di acqua dalle alture non lontane. La visita ai mosaici si fa su passerelle in acciaio, mentre tutto il complesso è protetto da una struttura in acciaio e vetro. Sfiati realizzati in posti strategici dovrebbero garantire una certa aerazione, tuttavia il calore all’interno è insopportabile, così, dopo qualche giro e qualche foto ai mosaici, tra l’altro illeggibili perché ricoperti di polvere ed abbagliati dal sole laterale, lasciamo quel bagno turco prima di avere un collasso. Peccato, non vediamo le prime ragazze in bikini raffigurate in un mosaico. Abbiamo nascosto la piantina in un cespuglio vicino alla macchina e, al ritorno, non ce la siamo scordata.
26 Giugno


Ragusa, Cattedrale


Ragusa Strana città. Domina una enorme vallata dalla quota di 500 fino al mare che si intravede in lontananza. E’ fatta in due pezzi: la nuova, relativamente, con ampia periferia, al punto che non riuscivamo a raggiungere il centro dov’era l’albergo che intendevamo prendere, costruita su un grande pendio che guarda una sconfinata piana, in fondo alla quale si vede il mare. Ma, al fondo della città nuova, prima della piana, c’è un’altura, più o meno una rocca,  sulla quale è arroccata la vecchia Ibla. Il nome deriva da quello del re siculo, Hyblea, che diede ospitalità ai coloni provenienti da Megara, in Grecia. Infatti ad oriente di Siracusa c’è la cittadina ed i ruderi dell’antico insediamento. Pernottamento all’Hotel  Montreal. All’ora di cena chiediamo all’albergatore di qualche ristorante. Ci indica uno che è inserito nella guida Michelin, ma è chiuso e nella città nuova non ci sono ristoranti. Bisogna riprendere l’auto ed andare ad Ibla, sconosciuta a noi. Una strada gira intorno alla rocca. Il borgo è completamente pedonalizzato ed una folla immensa di gente cerca un posto per lasciare l’auto ed andare in piazza, l’unico posto di Ragusa dove c’è gente. Nella città nuova infatti non incontri anima viva. Ci aggreghiamo agli altri nella ricerca di un posto auto, ci riusciamo e, alcuni giovani che sono diretti in centro, ci fanno da guida fino alla piazza del duomo, credo l’unica del borgo. Una bella salita ci conduce alla meta dove è in corso una manifestazione canora e di danze, alla Iervolino, questa però per promuovere le iscrizioni ad un corso universitario in non so quale facoltà, istituito nella città. Sono accorsi tutti ed a stento riusciamo a mangiare al ristorante Il Barocco.
Ibla, Duomo
Alla fine della serata incontriamo ancora i giovani di ritorno che si lamentano rassegnati che la loro vita è tutta in quella piazza ed io dico: tutto il mondo è paese, pensate che alcuni, anche nelle grandi città, non hanno nemmeno una piazza per passare la serata.
27 giugno
Il programma, anch’esso nutrito, prevede il tour nel cuore del barocco e un salto alla punta estrema dell’Italia, dizione geograficamente impropria, perché ci sarebbe ancora Pantelleria. Diciamo la punta sud della Sicilia. Diciamo inoltre che sapevamo che la cattedrale di Noto era in restauro, però, e questo va ad onore dei siciliani, buona parte del barocco e dei templi greci, come abbiamo visto,  sono imbracati per restauro.


Modica, Duomo
 Modica Splendida città barocca, inerpicata su un colle, ma che continua fino a valle in una gola di un fiume e continua sull’altro versante. Questa caratteristica si è prestata a soluzioni urbanistico-architettoniche molto scenografiche, tanto care al barocco. Così le chiese hanno ampie scalinate che portano fino a valle e gli edifici tendono ad affacciarsi alla valle. Sarebbe stato bello vedere la città sull’altro versante, per ammirarne l'effetto scenografico, ma Noto attendeva. A posteriori, avrei dedicato un’ora in più a questa cittadina, sottraendola all’altra ben più conosciuta. Da sottolineare l’altissima facciata della Cattedrale a tre livelli.



Modica, chiave di volta di portone

Modica, mensola di balcone


Modica, mensola di balcone

Modica, mensola di balcone




Modica, San Rocco
Per documentare in qualche modo l’inventiva del barocco siciliano, decidiamo, oltre a fotografare le facciate delle chiese, spesso da posizioni prospetticamente impossibili, di riprendere un elemento strutturale degli edifici: le mensole che reggono i balconi. La ventina di foto sull’argomento, scattate a Modica, Noto, Siracusa e Catania, sono uno spaccato della fantasia, dell’eleganza, della creatività  e della opulenza di committenti e architetti dell’epoca. Si potrebbe definire un profilo delle personalità dei nobili committenti, dalle sagome di questi elementi.



Noto, finestra
Noto Come detto, la cattedrale è totalmente imbracata e sono in corso i lavori di restauro. Giriamo per la cittadina e scopriamo che anche altri importanti edifici, già sulla stessa piazza, hanno il tetto sfondato. Anche qui vale il problema della debolezza strutturale di tali edifici dovuta alla natura friabile della pietra locale. Come si diceva prima, occorre più manutenzione in fase preventiva anche perché questa è una terra ballerina.



Noto, fregio

Noto, balcone



Noto, mensola di finestra

Le cattedrali barocche sono state costruite con facciate e cupole altissime quasi a sfidare il terremoto, a seguito del quale sono state edificate. E’ l’uomo che non si arrende alle sfide della natura.
Portopalo, bagno dei piedi alla congiunzione tra Mar Ionio e Mar d'Africa
Portopalo Terra di confine, sonnolenta, con poca gente, anche turisti, non più di un paio di persone sulla costa a scogli lisci alternati a spiaggia. Mare trasparente. Stesso spettacolo alla Punta delle Correnti e, alla punta estrema a sud, l’Isola delle Formiche. E qui tocchiamo il fondo … dell’Italia, ad un penitenziario, se non vado errato. E’ anche mare di confine infatti qui si scontrano il Mediterraneo africano e lo Ionio.
Breve ritorno sulla strada per Noto e poi verso Siracusa, al Jolly Hotel.
Scopriamo che la scheda di memoria da un gb, che avevo preso per la digitale, non funziona. Poi, a casa, scopriremo che si doveva formattare.  Un negozio specializzato ci vende una scheda da 250 mb, con la quale finiremo  il giro. Cena con menù tipico palermitano al ristorante dell’albergo, buona, non ottima, ma pesantissima.
27 giugno


Siracusa, Orecchio di Dioniso


Siracusa, teatro greco


Siracusa.Uno degli insediamenti più importanti dell’ellenismo, piena di fascino e di storia. I luoghi da visitare sono essenzialmente due, l’area archeologica del teatro greco e l’isola di Ortigia. In verità ci sarebbe anche Pantalica dove si trova la necropoli preellenica che, con circa 5000 tombe a inumazione multipla: è la più grande del mondo, tutta scavata nella pietra e risalente a prima del 2000 a. C. Dall’anno scorso è stata dichiarata patrimonio dell’Umanità e interessa tre comuni che si vogliono raggruppare sotto lo stesso nome, Pantalica, appunto. Ma non l’abbiamo visitata. Questa massiccia presenza di anfratti naturali o adattati dall’uomo, nella valle dell’Anapo, mi ricorda quando eravamo studenti delle medie a Canosa ed andavamo, nelle giornate primaverili, sulla via di Barletta e, a meno di un chilometro, c’era il letto di un ruscello, spesso secco, lungo il quale c’erano loculi con ossa umane con le quali noi giocavamo. Allora si vociferava di tesori nascosti in varie terre nelle vicinanze. Ma non si conosceva il valore venale dei possibili ritrovamenti. Molto dopo hanno cominciato ad operare i tombaroli e si trovavano, in commercio clandestino, magnifici vasi in terracotta del V, IV secolo a. C.. Passandoci di recente ho visto che l’area delle tombe da noi visitate è stata recintata, ma scavi ufficiali, niente. 


Siracusa, mensola di balcone

Siracusa, mensola di balcone
Teatro greco
E’ di quelli totalmente scavati nella pietra e perciò ben conservato. La tradizione delle rappresentazioni teatrali è mantenuta viva, infatti vi era un ricco
cartellone per la stagione attuale. Come tutti i teatri greci in prossimità del mare, il teatro era orientato per avere questo elemento come sfondo, così come è per Taormina e Tindari. Affianco al teatro, una enorme cava, le latomie, testimonia la provenienza della pietra utilizzata per le costruzioni in epoca greca. E una di esse si chiama Orecchio di Dionisio, per l’acustica particolare che consente, da posizione strategica, di sentire anche i bisbigli di chi è dentro. La vasta area della cava è piena di oleandri, stracolmi di fiori in questa stagione, di limoni, di piante di mirto ed altro. Così si è inebriati da un profumo intensissimo che emana da queste piante. La Sicilia, di questi tempi, è tutta profumatissima. Con quel clima tutte le essenze si esprimono al meglio.


Ortigia, mercato delle essenze





Terraferma da Ortigia

 Ortigia Ci spostiamo sull’isola di Ortigia. Facciamo un paio di volte il giro esterno dell’isola con l’auto (non so se potevamo farlo, perché mi pare che il divieto scatti alle 21, quando, presumibilmente la gente si riversa nei ritrovi e ristoranti che abbondano sull’isoletta), poi la lasciamo al parcheggio posto vicino al porto di ponente e proseguiamo a piedi per le stradine molto caratteristiche, con begli edifici, molti barocchi, alcuni, forse antecedenti. Raggiungiamo la piazza del Duomo. Questo è il risultato del riutilizzo a chiesa cristiana, in epoca bizantina, di un tempio dorico del V secolo a. C. dedicato ad Atena. Lo spazio tra le colonne è stato riempito e la cella interna aperta successivamente con sei arcate. Ne è venuta fuori un chiesa a tre navate. Oggi è in restauro. La particolarità è che i blocchi che compongono le colonne in fondo a sinistra sono spostati dalla verticale, anche di mezzo metro, probabilmente a causa di uno dei tanti terremoti, però il muro eretto dai bizantini ne ha evitato la rovinosa caduta. Ancora una volta la Chiesa è stata buona custode delle antiche testimonianze. Splendidi edifici in tutta l’area, tra cui il Municipio, la Facoltà di Architettura, quella di Archeologia, la Galleria Regionale, dove è custodita, tra l’altro, l’Annunciazione di Antonello da Messina. La visita al museo è saltata per pochi minuti ed il pomeriggio di quel giorno il museo era chiuso. Perché, se sapevamo che il girovago Antonello non c’era, ci sarebbe dovuto essere il Seppellimento di Santa Lucia del Caravaggio. Altra perdita irreparabile.

Siracusa, Cattedrale, colonna tortile

Sosta ad un bar per una delle nostre finte colazioni. L’isola, unita ora alla terraferma da due o tre ampi ponti, è un luogo piacevolissimo dove, da quanto intuito, si riversa la gente della Siracusa nuova, per passare le serate. Geograficamente parlando, si comprende la scelta dell’insediamento per tutte le civiltà nelle epoche precedenti, un’isola molto amena che individua due insenature, porti naturali molto protetti: quanto di meglio. Qui la civiltà mediterranea ha toccato livelli paragonabili solo a quelli dell’Atene del periodo d’oro anche se la Città, se non ricordo male, è sempre stata retta da un tiranno. Come dire che ci può essere tirannia e tirannia. Questa è stata anche la patria di Archimede e, per gente di formazione scientifica come noi, da una fortissima emozione. Visitiamo al volo la Fonte Aretusa. Il mito racconta di una ninfa di Artemide, dal nome Aretusa, appunto, che per non cedere alle brame del fiume Alfeo si sia trasformata in laghetto. Che fantasia sviluppavano i greci con una pozzanghera!  Poi, abbastanza a malincuore, verso Catania, ultimo pernottamento già prenotato all’Hotel Garden. Temendo di non trovare l’albergo, Marisa telefona, quando siamo ancora sull’autostrada e chiede informazioni. La signorina ce le da pensando, ma anche Marisa glielo fa credere, che siamo già in Tangenziale. Ci perdiamo. Entriamo in Catania, non volendo e qui, poi scopriremo dopo di essere in pieno centro. Un ambulante ci indica esattamente la strada. Dobbiamo riprendere la Tangenziale che è lunga quasi il doppio di quella di Napoli e poi seguire le esatte indicazioni dell’ambulante, verso San Gregorio, frazione di Catania, posta dall’altra parte, nei pressi dei vari comuni che iniziano per Aci e delle scalate all’Etna. Pernottamento e cena all’Hotel scelto a Napoli. Al ristorante solamente uomini soli che sono lì per lavoro.
28 giugno


Etna, nuova vegetazione sulla lava

Etna Anche per l’Etna è stata un’occasione mancata. Ora, a meno di un mese, ha dato segni di ripresa ma quando siamo saliti noi era una tranquilla montagna, un po’ più alta e nera del Vesuvio. Prima di salire sulle sue pendici, siamo andati a  Sant’Alfio a vedere il castagno più grande e anche il più vecchio d’Europa, detto “Castagno dei cento cavalli”. Pare che la regina Giovanna si fosse rifugiata, per via di un temporale improvviso, sotto quell’albero, con i suoi cento amanti cavalieri con tutti i cavalli, e l’albero li contenne. Il bello è che non è decrepito o semispoglio come le sequoie della California, anzi ha una chioma enorme che tocca quasi terra. In effetti sono almeno tre tronchi principali, molto vicini tra loro, ma pare abbiano scoperto che derivano da un unico nucleo radicale.



Sant'Alfio, castagno dei cento cavalli


Saliamo verso la seggiovia fino alla stazione a valle. Decido da solo che la salita in seggiovia è inutile, tanto vale andare sul Vesuvio. Al ritorno, molti giorni dopo, quando apprendiamo della ripresa dell’attività del vulcano, Marisa mi dice che lei sarebbe salita. Come tutte la altre cose non viste, sarà per un’altra volta. Certo che se ci fosse stata attività, non forte, ci sarei andato. Scendiamo a valle e, facendo pari e dispari, nelle poche ore rimasteci prima dell’imbarco, tra Acireale e Catania, scegliamo quest’ultima e ci dirigiamo verso la Tangenziale. Incontriamo un traffico bestiale, sbagliamo uscita e direzione, scoprendo, a nostre spese che le tangenziali sono due, in parte parallele. 


Catania,Cattedrale, Sant'Agata

Catania Arriviamo al centro di Catania davanti alla celebre cattedrale ed all’obelisco retto da un elefante. Chiesa chiusa, aperti venditori di souvenirs e da uno di questi, a destra della cattedrale, per chi vede, compriamo le più belle ceramiche di Caltagirone, per di più con marchio di provenienza. In verità si tratta di piccole cose da portare ad amici e parenti che, poi, scopriamo restano in parte insoddisfatti. Io avrei comprato, solo per me, un vaso enorme, altro più di un metro, con le volute a temi floreali, detto barocco, a fondo blu oltremare e con i colori ocra e verde, tipici della zona. Da mettere nel salotto contro un balcone, come era a casa di mio padre e che si presero le mie sorelle. Sarà per un’altra volta. Ci sediamo ad un bar nei pressi e consumiamo la nostra miserrima colazione, l’ultima nella terra di Sicilia e ripensiamo più alle occasioni mancate che a ciò che abbiamo visto. Antonello, Etna, Cattedrale di Noto, Orto botanico di Palermo, ecc. E’ un appuntamento ed un’occasione forte per ritornare.

Catania, obelisco con elefante
i dirigiamo mesti verso l’aeroporto, non lontano, temendo di aprire un contenzioso con la Maggiore perché le consegniamo un macchina con un carterino rabberciato ed un pezzo in meno  sul braccio dello specchietto retrovisore destro, perso il primo giorno in condizioni misteriose. Non escludiamo che fosse servito a qualcuno, infatti non si vende da solo ma con tutto lo specchietto. Alla ispezione della consegna controllano solo il livello del carburante e la ruota di scorta. Tutto o. k.. Altro problema al check-in. Marisa chiede quante bottiglie di vino si possono portare e una signorina dice due a persona. Ora noi avevamo 6 bottiglie di Marsala a vari gusti ed un boccione da 5 litri di Nero d’Avola che, ritengo, sia il vino più bevuto in Sicilia e che, ad ogni modo io bevo di preferenza. Panico, con, in aggiunta, l’impossibilità, per il divieto di lasciare liberi i bagagli, di buttare il vino nella spazzatura. Avrebbero pensato ad un attentato e ci avrebbero fermati. Abbiamo pensato di regalare le bottiglie in eccesso ad uno spazzino. Alla fine abbiamo imbarcato tutto.
Alle 21, in perfetto orario, ci solleviamo in volo dal suolo di Sicilia, pieni di impressioni veloci ma forti, ed anche del vino comprato. 
Considerazioni finali.
E’ stato un viaggio lampo nel quale, per mancanza di tempo, non sono state approfondite le impressioni fondamentali, pur colte nei vari luoghi che abbiamo toccato. Ma le specificità delle varie località erano troppe. La Sicilia non ha carattere unitario: la storia ha privilegiato di volta in volta i singoli luoghi rendendoli esclusivi e caricandoli di caratteristiche, ricordi, testimonianze storiche ed artistiche molto differenti l’uno dall’altro. Qualcosa ha accomunato nei millenni questa splendida isola: la dominazione, la dipendenza da altre civiltà, da altre istanze. Ma questa varietà di soggetti che si sono succeduti ha determinato una sovrapposizione di elementi culturali, ben visibili nelle testimonianze architettoniche ed artistiche in generale, che hanno reso la visita di questi luoghi un’esperienza unica, una carrellata nella storia dai tempi più remoti delle etnie locali, alle presenze fenicie, greche, cartaginesi, bizantine, arabe e via dicendo. Queste hanno segnato fortemente questa terra non solo nelle testimonianze architettoniche, ma anche, per esempio, nella rappresentazione dell’artigianato della  ceramica che, ancora oggi, usa raffigurare prevalentemente temi floreali e geometrici, evitando, nelle raffigurazioni classiche della ceramica di Caltagirone, le rappresentazioni di soggetti umani, vietate dal Corano. Seguendo tali imposizioni, nei paesi islamici, ancora oggi, i temi raffigurati, non solo nella produzione di ceramiche, sono floreali, geometrici e di bella grafia. Infatti nei paesi islamici la calligrafia ha raggiunto livelli artistici così elevati da rappresentare di per sé una forma d’arte. Si pensi alla firma del Solimano il Magnifico che è riprodotta su tutte le porte del Topkapi ad Istanbul. Agli arabi si sono succeduti i normanni, gli svevi, gli angioini, gli spagnoli, i borboni, i Savoia, la mafia. Azzardo infatti una riflessione, per la quale potrei essere clamorosamente e fragorosamente smentito: il fenomeno mafioso infatti sembra l’ennesima dominazione, autoctona quanto vuoi, ma di pochi agguerriti elementi che vivono a spese di un popolo pacifico, che non si riconosce in essa, anche se non riesce a liberarsene. A differenza, nei nostri luoghi, siamo un po’ tutti camorristi, ribelli alle regole della pacifica convivenza e del rispetto delle regole di convivenza civile e delle cose di pubblica fruizione. Lo si vede quando, alla giuda delle nostre vetture, proviamo il gusto della piccola trasgressione, del piccolo sopruso verso il prossimo e, in mancanza degli organi di controllo, della trasgressione dalle regole, come passare con il semaforo rosso, andare in due o tre a bordo del motorino, senza casco, lasciare l’immondizia dove ci pare. E il vandalismo verso i monumenti. Sono piccole trasgressioni e astuzie che la dicono lunga sul senso civico di noi campani, che indicano forse una propensione generalizzata all’anarchia, alla mancanza di ordine, al sopruso. Tutto questo in Sicilia non l’abbiamo visto, non l’abbiamo avvertito.  Tutte le diatribe derivanti dalle dominazioni hanno lasciato un popolo di gente serena, cordialissima, con un forte senso dell’ordine e del rispetto verso gli altri. Un senso dell’ospitalità che nella nostra regione, fatte le dovute differenze tra comuni e province campane, è difficile ritrovare. E, finché non avremo acquisito tale senso dell’ospitalità, il turismo resterà una enunciazione astratta, una realtà asfittica. Altra grave perdita, in questa visita breve ed omnicomprensiva, sono stati i luoghi della grande letteratura siciliana: i luoghi dei Malavoglia di Verga, del Gattopardo di  Tomasi di Lampedusa e poi di Sciascia ed anche di Montalbano che, almeno nella finzione cinematografica, sono stupendi. Ma per assaporare questi luoghi della cultura ci vuole tempo e calma, e proprio questo ci è mancato, maledettamente.  
La sorpresa positiva, che fa onore alle amministrazioni recenti, è lo sforzo di ammodernamento, recupero ed  adeguamento dell’immane patrimonio archeologico ed artistico in atto, oltre all’adeguamento delle infrastrutture, per esempio di trasporto, che portano l’isola a livelli di prestazioni degno delle più progredite regioni italiane. Per esempio, tutti gli incroci viari sono realizzati tramite comode rotonde; la segnaletica è pienamente rispondente ai recenti canoni europei, eccetera. In verità abbiamo notato alcune contraddizioni. Per esempio, il centro di Palermo è ancora quello del dopoguerra, con edifici nobiliari fatiscenti e fermi al momento dopo la caduta delle ultime bombe della seconda guerra mondiale. Ma qui, evidentemente vi sono ragioni di proprietà e di finanziamenti per i restauri sui quali permangono contenziosi da troppo tempo non risolti. E, non visibile direttamente, se non da quelle famose stele, rimane il problema della delinquenza organizzata che sarebbe ingiusto sottacere anche in una carrellata a volo d’uccello, quale quella di turisti frettolosi quali eravamo noi. Ma sarebbe altrettanto ingiusto liquidare la Sicilia con questi stereotipi, pur fortemente presenti e condizionanti.
A noi, la Sicilia è sembrata una terra splendida, abitata da gente splendida, accogliente e rispettosa dei visitatori, cosciente dei tesori che custodisce che vuole rispettare e valorizzare. E poi, un elemento che accomuna tutta l’isola è la qualità del suo vino, ottimo dappertutto, il che non è poi un fatto trascurabile. Il Nero d’Avola, che le nouve tendenze enologiche tendono a considerare uno dei migliori rossi italiani, in boccione da cinque litri, così faticosamente trasportato per tutto il percorso, fino al volo di ritorno, è stato magnifico ed è valso la pena trasportarlo.